Cimbergo – storia di falesie troppo inclinate ma soprattutto di quel periodo in cui ho capito che stavo invecchiando

L'autunno è quasi sempre così, è quella stagione in cui si ripuliscono le camme dei friend, li si sistema per bene come dei gioielli preziosi e si torna a fare il conto con i vecchi nemici: il trave, insindacabile giudice di quanto l'estate porti via ogni massimale che nel mio caso però per fortuna è sempre stato basso e le falesie, quel luogo ameno dove il gesto atletico viene ripulito di qualsiasi altro suo connotato, lasciandoti solo quella manciata di scuse ridicole che ricicli a turno "c'è umido" "fa freddo" "ieri ho bevuto" "mi fa male un gomito" "mi fa male l'osso sacro che lo so che non c'entra nulla con la scalata ma che cazzo".

Picos de Europa – sono state delle vacanze bellissime

Gira voce che gli eschimesi abbiano circa 99 parole per identificare la "neve". Nelle Asturie invece hanno una parola specifica per identificare una nebbia fittissima che non è pioggia ma nemmeno non lo è, che sale dall'oceano e bagna tutto ciò che incontra fregandosene ovviamente delle tue ferie. Si chiama Orbayu. Cosa dovevamo quindi dedurre da questa cosa? Che se si son scomodati di chiamare con un nome specifico una nebbia, evidentemente quella roba è molto comune.

Un weekend ai Satelliti – ci porterei in gita i negazionisti del cambiamento climatico

Arrampicando ho imparato un sacco di cose, tranne arrampicare bene. Me la cavo, a volte meglio, altre meno meglio, altre ancora "blocca e cala che già la vita fa terrore, figuriamoci stare un paio di metri sopra gli spit o peggio ancora, sopra un friend, micro magari". Va così, a volte meglio, altre peggio. Comunque non è qualcosa che ho mai messo in discussione, anzi, ho imparato ad accettare e attraversare i momenti che vivo nei confronti dell'alpinismo contestualizzandoli nel resto della mia vita, come sto, cos'altro mi sta impegnando la testa, quanto e come riesco ad allenarmi, quanto e come ho voglia di spingere. Delle cose che ho imparato, soprattutto quest'anno, una delle più belle è guardare il quadro d'insieme.

La Bicicletta e il Badile – una storia corale di una montagna a cui vogliamo bene

Calvino ne Le città invisibili scriveva "d’una città non godi le sette o le settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda" e mi viene facile pensare che, per quanto antitetiche siano città e montagna, si possa decisamente dire lo stesso anche di quest’ultima.

Via Gogna in Marmolada – storie di bivacchi e di zaini

C'eravamo lasciati che era inverno, anche se inverno quest'anno non lo è mai davvero stato. E vi avevo promesso una quarta puntata delle crono storie del Monte Bianco, che arriverà. Ma arriverà dopo, tipo quando ci saranno 40 gradi all'ombra, la vostra esistenza altalenerà tra la voglia di tagliarvi le vene ancora intrappolati al lavoro e quella di trascorrere le giornate di fronte al reparto surgelati dell'Esselunga. Non ho avuto tempo per scrivere, non qui almeno, negli ultimi mesi le mie energie sono state risucchiate tutte, pure quelle che manco pensavo di avere, in quella cosa fantastica, abominevole e più terrificante di una placca mellica spietata, ossia la vita. Ma sto arrivando finalmente in sosta e parrebbe che manco 'sta volta son morta!

Goulotte Gabarou Albinoni (Tacul, Monte Bianco) – una storia a puntate (I di III)

I programmi miei e di Ange erano quelli di salire al Torino, fare una goulotte facile di pochi tiri il primo giorno, fare la Modica il secondo e il terzo scendere sempre dal Torino. Inutile dire che nulla è andato come stabilito. La sveglia, infame, suona alle 4. Alle 5 in autostrada ci siete sempre solo tu e quelli che arrivano diretti dall'after. All'autogrill, cercando di ritrovare la dignità in un caffè e una melizia non capisci mai se sei più idiota tu o loro. Comunque credo che loro scrivano usando il caps lock, mi consolo con questo pensiero. Ci fermiamo a fare colazione, la temperatura fuori è ancora, di pochissimo, sopra lo 0. Un bel tempore, quasi me lo godo visto che so che me lo scorderò per i prossimi due giorni.

Sardegna – posti in cui non vai, ma torni

Quando ritorno a casa ripongo l'ennesima bottiglia di mirto tra i pochi superalcolici che possiedo. Saranno sì e no dieci bottiglie in totale, un rhum che arriva da Cuba, delle bottiglie di sakè prese in Giappone (che poi mi chiedo perché mai le ho prese, dato che mi ha fatto schifo il sakè anche nella sua terra d'origine) e la bellezza di quattro bocce di mirto, pure buone. Che se uno non lo sapesse, tra il fatto che faccio Chifu di cognome e il mirto che ho, ci sta pure chiedermi se sono sarda. ontinuità territoriale, ma considerato che l'Italia ancora non vuole riconoscermi nemmeno la cittadinanza, mi limiterò a collezionare mirti e parlare con accento milanese, dicendo agli estranei ai quali non ho voglia di raccontare la rava e la fava che sì, io e la Cannalis siamo le uniche due sarde alte più di un metro e un biscotto, sì, va bene.

Resegone senza mezzi a motore – ma che ne sanno i ladri di biciclette

Ci sono racconti che scrivo subito, di getto, con le mani sporche di magnesite o gli sci che gocciolano acqua sul pavimento della sala. E poi ci sono racconti che devono lievitare, come i panettoni a Natale. Perché alcune cose le capisci davvero solo dopo un po' di tempo. Una mattina di inizio gennaio, siccome nel partorire idee stupide sono, come si può dire, piuttosto brava, ho deciso di di legare alla "speriamo che tenga" gli sci sulla mia vecchia citybike, Clarabella, e andare a togliermi dalla scarpa un sassolino di quelli piccoli ma stronzi. Piccoli perché non è che sia una sciata di quelle che mammammia quasi quasi la evidenzio nel curriculum alpinistico, ma stronzi perché in una stagione in cui ha nevicato tanto con tutto quel bendiddio ti pare che vai a sciare sul Resegone dai! E alla fine finisce che quelle sciate lì non le fai mai. Ho aspettato un po' a parlarne perché non potevo assolutamente scriverne qui prima che il racconto di quella giornata fosse pubblicato sul numero di aprile di Skialper! Riuscire a trasmettere qualcosa, scrivendo delle mie esperienze, credo sia lo spin-off più bello che l'andare in montagna mi ha portato, insieme alle persone con le quali ho condiviso le esperienze, dalle quali ho imparato e che alla fine son diventati amici, più che soci di cordata.

Scialpinismo – dislivello e rapporto col mio corpo

Da che io abbia memoria lo sport mi ha accompagnata crescendo insieme a me: all'inizio per gioco (e per sfinimento dei miei genitori dato che ero la classica bambina che per farla star buona, dovevi spararle), poi l'atletica in particolar modo è diventata agonismo, poi c'è stata una rottura netta e due anni fa ho incontrato l'alpinismo. Mi ricordo che quando avevo 4 anni l'allenatore mi diceva che "il cioccolato lo mangia la mamma, tu la stagnola!" facendo riferimento ad una cultura alimentare rigida, assolutamente da inculcarmi nella testa. E ci sono riusciti: ad inculcarmela....