

























Se dovessi raccontare cos’ho fatto negli ultimi (due) anni della mia vita in una sola parola, direi che ho traslocato. In svariati, molteplici, dolorosi, impegnativi, felici, reali ma anche metaforici modi. Ho traslocato di casa, più di una volta e direi pure di vita. Ho provato a tenere tutto in ordine per poi finire col fare scatole con su scritto “cose”, senza manco sapere cosa fossero queste cose e m’è toccato rivangare tutto, il bello e il brutto, traghettare ricordi o lasciar andare pezzi di vita. Però son viva. Mi sento come se avessi fatto una via in placca con uno spit ogni dieci metri, stile Fazzini. Però son viva. Non ho manco chiamato il soccorso, mi pare un ottimo risultato no?
Credo che sia capitato a tutti, di inciampare dentro in una persona o in una passione e sentirsi semplicemente trascinati via, in senso positivo eh. Di solito queste cose nella vita succedono l’attimo dopo che dici “ora voglio proprio stare tranquillo per un po’, non voglio traslocare o cambiare lavoro, sto bene così.” O meglio ancora, la regina di queste frasi “no ma sto bene da solo, non la voglio una relazione ora” oppure “ma guarda son soddisfatto del tiro che ho chiuso l’altro giorno, non ho progetti a breve”. E niente, son tutte storie che ci raccontiamo, per solidificare le nostre esistenze l’attimo prima di perdere il controllo, di fare scelte che bollono in pentola per anni come il magma prima di esplodere, l’attimo prima di ritrovarsi a provare tiri che erano nella black list come gli aerei, a inscatolare (di nuovo) la vita, e mandare messaggi del tipo “cosa mangiamo ‘stasera?” chiedendoti quand’è che siete arrivati a questo punto che pare ieri che “vi vedevate e basta”. Che pare ieri che andavo sul Barro a camminare e mi sembrava chissà cosa e la montagna, con tutto quello che comporta, nella mia vita doveva ancora diventarci, qualcosa.
Sto vivendo un periodo di vita molto particolare: avete presente quando si dice che le vite di alcuni sembrano il mare calmo in apparenza ma sotto è evidente che ci sia burrasca? A me la mia vita or ora sembra più il contrario: sto vivendo cambiamenti molto importanti e anche molto veloci, quindi in realtà la mia vita quotidiana in questi mesi (e direi anche anni) è una fiera di rotture di coglioni, c’è lo stand dei traslochi, la bancarella della stanchezza, la signorina ci fa una dimostrazione di quante scartoffie bisogna compilare nelle 6 ore di apertura settimanale degli uffici pubblici dei quali hai inevitabilmente bisogno quando decidi di fare quella sciagurata scelta di diventare adulto. Ma sotto, sotto sono stranamente molto calma.
Cosa siamo diventate, io e la montagna? Direi che si è spenta la foga che senza dubbio avevo ed era giusto che avessi i primi tempi, ma non lo vedo come qualcosa di negativo: è cambiata. Sono una persona diversa, molto diversa, ho esigenze, modi di fare e consapevolezze che quattro anni fa non erano nemmeno in stato embrionale. Ho senza dubbio fatto esperienze in montagna sorprendendo me stessa, ho chiuso alcuni tiri assolutamente senza capacitarmene, ho avuto e ho ancora periodi nei quali mi sembra tutto così pesante che semplicemente non voglio aggiungere altra fatica e la montagna (o la falesia) assumono il ruolo d’esser luoghi dove rilassarmi. Poco ma sicuro non sono più la persona che nei giorni di pioggia andava a infognarsi in qualche bunker strapiombante per forza. Se piove durante il weekend non mi pesa, ho spesso un libro che ho iniziato a leggere troppo tempo fa ed è da finire, due gatti e qualcuno con cui eventualmente fare una sessione di trave tra un film brutto sul divano e l’altro, se proprio ma a volte (e spesso) va bene anche solo quella specifica persona, il divano, i gatti, il libro che continuo a non finire perché mi addormento dopo poco. Non penso di essere in uno dei momenti più tranquilli della mia vita, direi quasi l’opposto. Nemmeno in uno degli stati di forma migliori, non direi l’opposto ma sicuramente ho avuto periodi più rosei e avambraccia più solide. Ciò nonostante certe volte sono molto più tranquilla di qualche anno fa nei confronti della scalata, meno arrabbiata, più capace di vedere il quadro d’insieme, di navigarci dentro senza farmi travolgere. Non è che io stia bene ogni ora di ogni giorno, certo, ma sto bene, sotto al mare in tempesta c’è una strana calma.
Ho avuto e sto avendo modo di stare molto là su e là fuori, di raccontare storie e di incontrare persone che di montagna ci vivono, che senza montagna non credo sappiano cosa farsene della propria vita. Da qualche tempo andare in montagna è diventato anche un secondo lavoro, fatto di racconti, di gare o storie, un modo per esprimermi, che poi è sempre lo stesso. Cercare un senso, nei dislivelli, nelle tacche da arcuare, nelle scelte fatte. Se penso alle giornate spese con Skialper in montagna, gli incontri con le persone che stanno dietro alcune realtà aziendali di montagna, io mi sento inadeguata come l’ananas sulla pizza, ma tant’è. Vado avanti a coltivare quello che sto facendo, con la consapevolezza che io adeguata nella vita non ho manco gli strumenti per sentirmici e che a mezza Europa l’ananas sulla pizza fa impazzire, valla a sapere perché.
Ho scalato molto, nonostante la vita abbia negli ultimi anni preso il sopravvento. Ma spesso non l’ho raccontato, in parte per mancanza di tempo, in parte perché ho sentito e tutt’ora sento la necessità di non rielaborare per forza tutto e di non condividere, per forza, tutto. Sono stata a scalare in Sicilia, a cavallo tra l’Umbria e il Lazio esplorando le falesie di Ferentillo e Grotti, sono stata a Fontainbleau e a sciare in Dolomiti e soprattutto ho trovato il tempo di calmarmi, di riprendermi, di recuperare. E di farmi da mangiare. Coi miei modi per carità, cioè abusando sempre delle scatolette di tonno finché la visita al supermercato non diventa inderogabile. E contro ogni previsione mi piace la persona che sono diventata, sono immensamente fiera delle scelte che ho fatto, mi sento vulnerabile come mai prima ma pure coraggiosa.
Non è un inno nè alla mediocrità, nè al rallentare, è piuttosto un calmo e sereno modo di affrontare l’insieme delle cose. Di tenere nella stessa scatola scalare, sciare, qualche cascata, i gatti, gli amici, il lavoro, il secondo lavoro, le lavatrici, il divano con quella persona, fermarmi ogni tanto per ripensare come tutto questo è iniziato e non solo cosa è diventato ma soprattutto come ce lo è diventato perché i modi non solo cambiano ma a volte, il più delle volte, son proprio i modi a creare i racconti.
Questo qui è il mio. Sono cresciuta, tutto qua. E lo sto ancora facendo. Di cose sulle quali lavorare ce ne sono davvero tante, non sarei io se non fosse così, nel mio quotidiano rimarrò sempre una la cui to do list non vede mai la fine, ma credo d’aver in qualche modo usato una buona parte dei punti karma che avevo raccolto fino ad ora (e, se posso, c’avevo una collezione paura, roba da prendersi fior fiore di set di pentole) per ritrovarmi, stranamente, in un posto dove sto bene, sana di testa quanto basta e quanto umanamente possibile data la base d’asta dalla quale partivo e soprattutto se esco di casa e imbocco la ciclabile che mi porta verso Lecco, ad un certo punto quando risalendo il fiume questo si fa lago, c’è un curvone dove si apre il panorama e si vede il campanile di Lecco, si vede il Medale, il Barro, le Grigne, tramonta il sole sul Resegone davvero così vicino che ancora non pare vero, d’esser sopravvissuta a tutto, che ero un ruscello merdoso e ho raccolto così tanta acqua e storie e luoghi e persone che mi sembra d’aver vissuto di più e forse non solo mi sembra.
E davvero forse non solo mi sembra.