





Vi ricordate qual era il piano? Fare qualcosa di tranquillo il primo giorno e poi la Modica il secondo. Invece il primo giorno abbiamo fatto la Gabarou Albinoni (https://smarandachifu.com/2022/03/04/goulotte-gabarou-albinoni-tacul-monte-bianco-una-storia-a-puntate-i-di-iii/) e risalendo al Torino io ho iniziato a pensare che avessero seriamente spostato il rifugio. In lontananza, ormai al buio, vediamo due frontali aggirarsi nella conca del Maudit. Penso “dai, che se le maledizioni che si alzano al cielo sono tante magari la voce si fa forte e il cielo ci fulmina ponendo così fine al nostro patibolo.” L’ottimismo si sa, è il profumo della vita. E invece al Torino, stranamente, ci faccio ritorno.
Poco dopo, mentre stiamo sistemando il materiale e trangugiando calorie randomiche, entra uno dei due che avevamo visto aggirarsi sotto al Maudit. Ci dice di aver fatto la Roger Baxter, che è in condizioni e che hanno attrezzato tutte le doppie su abalakov per la discesa. Ad essere del tutto onesta io non la conoscevo come goulotte, Ange sì. Mi guarda cercando approvazione, lo guardo cercando empatia. Guardiamo la relazione e la difficoltà tecnica dovrebbe essere meno rispetto alla Gabarou, ma son comunque 600 metri di via. Approvazione 1, empatia 0.
Mi chiedo sempre, in queste situazioni, se quando parlano di buone condizioni si riferiscono a quelle della via o alle mie, perché la via scommetto che sta benissimo, sicuramente meglio di me.
C’è una diffusa abitudine tra chi va in montagna, quella di avere un paniere di scuse davvero molto ricco. C’è sempre un motivo, chiaramente esogeno, per il quale non si riescono a fare le salite. C’è troppo umido, troppo caldo, troppo freddo, avevo mal di stomaco, arrivando perfino al “ma si sarà rotta della roba, è chiaro”. Ovviamente in montagna è quasi sempre colpa del socio, mai nostra, colpa del meteo, colpa dell’oroscopo. A volte son cose vere ma quasi mai sento dire una delle cose statisticamente più probabili: non ne avevo io, cioè per andare avanti mi avrebbero dovuto puntare una pistola alla testa e anche in quel caso ci avrei pensato su, dato che il risultato finale forse non sarebbe poi stato tanto diverso.
Il secondo giorno sul Bianco è stato il caso statisticamente più probabile, per me.
Ad ogni modo, al mattino dopo partiamo dal Torino con calma e ci addentriamo nella Combe Maudit, l’ultima volta che ero entrata in quella zona fu quando andai a fare la Kuffner con la Mari, due estati fa, ma era buio quando stavamo facendo l’avvicinamento quindi ora, passando sotto il canale dell’attacco e guardando la Kuffner al sole posso finalmente esclamare “ma che davvero ho fatto quella roba lì?”, sempre molto sicura di me stessa e delle mie esperienze, ne faccio un gran tesoro ogni volta domandandomi che droghe ho assunto quando ho fatto certa roba perché è palese che non ho le capacità per farlo. Atteggiamento che chiaramente applico in qualsiasi ambito della mia vita, per facilitarmi l’esistenza e porre delle solide basi alla mia autostima.
La salita con gli sci non ha pendenze estreme, ma basta per farmi pensare che devo ancora arrivare all’attacco, fare 600 metri di via, 10 doppie, sciare in discesa con lo zaino pesantissimo e risalire al Torino di nuovo. E all’idea i miei neuroni iniziano a pensare alla birra con la stessa brama di Homer Simpson con le ciambelle.
Arriviamo all’attacco e comunque partiamo, un canale vicino ed esposto a sud scarica neve e ghiaccio con un rumore che mette la stessa pace interiore delle unghie sulla lavagna, mentre noi pian piano ci addentriamo nella goulotte. Era perfettamente formata, bellissima, aveva ragione il tizio della sera prima: lei sì che era in ottime condizioni e sì, missà che si riferiva a quelle della via perché le mie di sicuro non sono ottime a questo punto della seconda giornata sul Bianco. Tempo pazzesco, si poteva fare fino alla fine ma non s’è fatta perché a volte va così, solo che poi raccontiamo solo le volte in cui è andata bene e dei calci sui denti preferiamo, per orgoglio, non dire nulla. Chissà perché. Chissà dove abbiamo imparato che pure in montagna deve essere tutto patinato, photoshoppando moralmente le esperienze per renderle socialmente accettabili, per renderci comunque degni di. In questa gara alla perfezione in cui se hai beccato neve brutta sciando sei pollo tu perché deve essere sempre e solo powder, in cui sembra che ci siano solo vie stupende con roccia perfetta, congiunzioni astrali della madonna, flow mentali perfetti e che non ci sia mai una volta che qualcosa non va come doveva andare.
E’ un po’ l’effetto Instagram, quel filtro di perfezione attraverso il quale ci raccontiamo agli altri ma soprattutto a noi stessi. A vederci da fuori sembra che tutti concatenino periodi bellissimi a periodi ancora migliori, che se hai delle giornate storte e l’umore nero hai un difetto di fabbrica tu, maciniamo metri di dislivello senza batter ciglio mai, superiamo paure e affrontiamo sfide senza il minimo dubbio, abbiamo lo stesso entusiasmo sempre e “lo stesso” è quello di un bambino di 10 anni e mettiamo in scena questa vita perfetta, alla quale siamo i primi a venir meno non appena mettono in sconto il prosecco all’Esselunga o un amico ha una giornata di merda e ci offre così un’occasione valida per porgergli una spalla senza ammettere che non vedevamo l’ora di fermarci anche noi, per un secondo.
Ci siamo calati dopo circa 250 metri. Qualche giorno dopo mi ha chiamato la dottoressa dell’Avis avvisandomi che le analisi della mia ultima donazione rilevano una carenza di ferro allarmante e, col senno di poi, questo potrebbe anche aver inciso sulle mie prestazioni, ma non ne sono sicura, o almeno, davvero non m’importa. Tra qualche anno mi piace pensare che ricorderò questo periodo della mia vita come un momento nel quale ho comunque provato a fare tutto quello che era nelle mie possibilità, su tutti i fronti. Di sicuro la Roger Baxter sarà stata solo uno dei tanti fallimenti ai quali andrò incontro in questo periodo ma in qualche modo, quando Paolo Fox me la manda buona, non riesco più, per fortuna, ad arrabbiarmi così tanto con me stessa.
Questo per dire che ci sono le guide alpine, ci sono gli atleti, ci sono quelli iperdotati e talentuosi e pure loro hanno momenti no e poi ci sono quelli come me, che sicuramente qualche dote fisica in più rispetto alla media statistica della gente ce l’ho, se contiamo però che la media statistica a livello atletico è molto bassa, mi spiace dirlo, però in realtà ho una vita, un lavoro, mi succedono cento cose e cerco di tenerle insieme tutte. A volte mi alzo alle 6 per fare le trazioni, altre volte decido che è arrivato il momento di smaltire la pila di vestiti dal divano e fare due lavatrici, altre ancora che posso anche dar priorità a 3 ore di sonno in più, dove “posso” più che altro è un “devo”, non c’è nulla di patinato, nulla di perfetto, a volte ho l’entusiasmo a mille, altre a terra, mi rimetto insieme, mi demolisco, mi aggiusto di nuovo, cambio idea e pure obiettivi, dietro certe salite a volte c’è un pizzico di fortuna, c’è ormai un briciolo di esperienza, sempre più preponderante rispetto ad altre componenti, soprattutto c’è tantissima pazienza, la miglior cosa che mi abbia insegnato l’alpinismo. Sono l’esempio perfetto del fatto che se lo posso fare io, lo può fare chiunque. E nonostante tutto a volte, come questa, non va come avevo pianificato che andasse.
Le scuse, diceva maestro Yoda, sono come il buco del cül: ognuno ne ha uno. E stanno sempre a zero. Abbiate il coraggio di ammettere quando avete paura, quando non avete avuto sufficiente voglia o forza che pure Superman ad una certa il mantello se lo toglie e se non fosse che vicino alla kryptonite muore non ci starebbe poi forse nemmeno così simpatico.
A volte bisogna scendere a compromessi, dare un colpo al cerchio e un altro alla botte e trovare un equilibrio, nel mezzo, tra tutte le cose che la vita adulta ha deciso di riservarci. D’altronde, ce l’avevano detto di non crescere, che era una trappola, che i tempi di recupero si sarebbero allungati, che il metabolismo con le mani con le mani ciaociao e che non sarebbe certo bastato un bicchiere d’acqua fresca per riprenderci dai cubalibre a 2 euro della sera prima. E invece eccoci qui, a infilzare chiodi nel giacchio dei canali del Bianco, ad arcuare tacche ignari dell’artrosi che ci verrà verso i 60, ingannando noi stessi e il tempo che scorre, convincendoci che in fondo, forse un pochino, stiamo facendo del bene a quel bambino che siamo stati e che per fortuna siamo ancora.
Ritorniamo al Torino con il sole e ci godiamo la birra, comunque meritata, pensando, ingenuamente, di scendere in funivia il giorno dopo e che l’avventura sarebbe finita lì. Ma ovviamente, nuovamente contro ogni previsione, non sarebbe affatto finita lì…
Grazie per la tua condivisione, e grazie per i tuoi racconti. Solo ora sono inciampato nel tuo blog, che sfoglierò con curiosità.
I tuoi racconti sono entusiasmanti, divertenti e traspaiono sensazioni vere . Grazie perché mi hai fatto ricordare ciò che provavo quando scrivevo i miei racconti di montagna tramite un blog analogo al tuo. Onestamente devo sottolineare il fatto che i tuoi di racconti sono scritti di grand’ lunga meglio dei miei , tuttavia mi hai riacceso una fiammella ormai assopita da qualche annetto. Buona montagna ! M.F.