














Quando ritorno a casa ripongo l’ennesima bottiglia di mirto tra i pochi superalcolici che possiedo. Saranno sì e no dieci bottiglie in totale, un rhum che arriva da Cuba, delle bottiglie di sakè prese in Giappone (che poi mi chiedo perché mai le ho prese, dato che mi ha fatto schifo il sakè anche nella sua terra d’origine) e la bellezza di quattro bocce di mirto, pure buone. Che se uno non lo sapesse, tra il fatto che faccio Chifu di cognome e il mirto che ho, ci sta pure chiedermi se sono sarda.
E in effetti, alla settima visita dell’isola in cinque anni credo mi possano ormai anche riconoscere la continuità territoriale, ma considerato che l’Italia ancora non vuole riconoscermi nemmeno la cittadinanza, mi limiterò a collezionare mirti e parlare con accento milanese, dicendo agli estranei ai quali non ho voglia di raccontare la rava e la fava che sì, io e la Cannalis siamo le uniche due sarde alte più di un metro e un biscotto, sì, va bene, solo che lei è più figa.
Comunque sia con la Sardegna direi che ormai ho un certo feeling, era l’estate 2015 quando io e Chiara ci eravamo appena laureate e ci stavamo imbarcando nel meraviglioso mondo degli stage a 300 euro al mese con l’ansia di chi era certo che non avrebbe mai trovato una strada nella vita (6 anni dopo posso confermare che l’ansia si è solo traslata su altri fronti, ma è rimasta invariata). Mi ricordo che salutai Chiara in una torrida Milano, mentre lei si stava trasferendo per lavorare a Cagliari. Quello che è successo in questi 6 anni fa parte di quel insieme di cose delle nostre vite che “chi l’avrebbe mai detto”, che se ce l’avessero raccontato mi sarebbe parso un film di una vita di certo non mia. Effettivamente da allora lei vive e lavora ancora in Sardegna. Nel 2015 l’arrampicata era ancora lontana dall’entrare nella mia vita, ci sarebbero voluti altri 4 anni prima che i miei piedi iniziassero a deformarsi nelle scarpette, in Sardegna non ci ero mai andata e il mio rapporto con Chiara, che di fatto è uno dei pochi rapporti che ho che nulla ha a che vedere con l’arrampicata, sarebbe diventato immenso, crescendo soprattutto al Terminal 2 di Malpensa o all’aeroporto di Cagliari.
Fatto sta che il 29 dicembre 2021 sbarco dal traghetto a Olbia e, come se avessi oltrepassato uno stargate, ci sono 18 gradi, mannaggia a Greta Thunberg, che mi pare che il riscaldamento globale ci sia ovunque tranne all’ombra delle Prealpi Lombarde dove vivo io, inerpicata a metà strada tra quel ramo del lago di Como che volge a mezzogiorno e un appena accennato brianzolo quantitativo tossico di PM10.
A scalare in Sardegna in realtà è solo la seconda volta che ci vado, ma ormai ho capito che questo posto per me è un ritornello di vita, è come se ci fossero dei capitoli che puntualmente vengono segnati da una pagina, una pagina in cui io ritorno lì, compro una boccia di mirto e mi domando come sarò, con chi sarò e cosa mi sarà successo la prossima volta che ci tornerò ancora.
La prima parte della vacanza la passiamo a Santa Maria Navarrese. Di cui inizialmente non ricordo nulla, poi quando ci passo mi ricordo di quando una sera ci ero finita a ballare il liscio alla festa del porceddu. Anzi, proceddu, mi spiace deludervi ma si dice così, lo so, ci sono rimasta malissimo anche io quando l’ho scoperto. La compagnia è numerosa, sono stata trascinata nel gruppo da Paola e Lucia, ma direi che gli spin-off di questa vacanza sono molto numerosi. Prima di partire facciamo ambarabacicicocò per capire chi è positivo al Covid, praticamente schiviamo positivi meglio dei vietcong, incredibilmente ci ritroveremo a fare capodanno in 18 persone e alla data in cui scrivo, ossia 14 gennaio, parrebbe che nessuno sia positivo. Scientificamente del tutto inspiegabile. I ricercatori stanno conducendo maggiori indagini sul calcolo delle probabilità. Vi terremo aggiornati in merito. Sarà il Cannonau.
Fatto sta che in 18 in falesia è complesso, tant’è che il primo giorno andiamo al Sistema Solare, una falesia molto simile e infatti molto vicina alla famosa Villaggio Gallico. Ad un certo punto Ambra lamenterà che la falesia è piena, per poi renderci conto che in effetti siamo 9 cordate già solo noi, tant’è che dal giorno seguente ci divideremo in mini gruppetti, scegliendo o falesie diverse o magari anche qualche camminata o vie. Vige la libertà totale, ognuno faccia un po’ il cazzo che gli pare.
Abbiamo fatto 10 giorni di vacanza, su 10 giorni due ha piovuto, uno dei due giorni di pioggia lo abbiamo sfruttato per vedere le miniere a Carbonia e dare così un senso anche culturale alle vacanze, l’altro lo abbiamo ugualmente passato a scalare sopravvivendo ai tiri bagnati e alla battuta di caccia al cinghiale esattamente nel bosco sotto la falesia. E solamente il 31 abbiamo fatto una via, per il resto l’andazzo della vacanza è stato degradare man mano in falesia, finendo personalmente per chiedermi perché ci sia tutto questo rancore nei confronti chessò, dei quinti gradi. So’ così belli i quinti, dai ragà, so’ ‘na favola, hanno la dignità di chi comunque scala ma allo stesso tempo offrono la sicurezza e il comfort dei pelusche sul letto a 9 anni. I quinti sono il comfort food dell’arrampicata.
Comunque dal 29 al 2 siamo stati a Santa Maria Navarrese e abbiamo scalato a Sistema Solare (carina, tiri in placca, un po’ tutti simili), Monte Oro (stupenda, tiri lunghissimi chiodati che te li ricordi, se siete fighetti e avete una macchina bassa auguri ad arrivarci in macchina), Jerzu (chi scala a capodanno scala tutto l’anno), giornata meravigliosa a dieci metri sopra le nuvole e poi io e Fabio abbiamo fatto una via a Pedra Longa il 31, Marinaio di Foresta, via durante la quale siamo comodamente rimasti dietro la cordata che c’era prima di noi, lanciando bucce di mandarino nel mare, a gambe a penzoloni in sosta. La scelta della via strategica per essere a casa presto ed essere operativi per la cena, dove l’essere operativi di fatto consisteva semplicemente nell’iniziare a bere prima degli altri.
Il 2 gran parte del gruppo è ritornato sul continente, salutiamo Paola, Gabri, Gigi e gli altri e ci dirigiamo a est, verso Iglesias. Le falesie sulla costa est che visitiamo sono Ombre Rosse, Punta Pilocca e Rifondazione Strapiombista e La Ruota del Tempo, di tutte per me la più bella è Rifondazione Strapiombista, una falesia dal nome che è tutto un programma ma con tiri in realtà lunghi e (almeno su quelli che ho provato io) con buoni riposi. Comunque a questo punto della vacanza io stavo già a +2 kg, intossicazione da alcol, indigestione da pane guttiau e pecorino, braccia arate e quindi non ho chiuso nulla ma ho l’onestà intellettuale di dire che il tiro che stavo provando era, nel grado, facile.
Non ho chiuso molto, in generale, è pure un periodo in cui sto scalando di nuovo un po’ tesa e male. Ma non è nemmeno stato così fondamentale. Se sto crescendo voglio farlo ricordandomi che l’arrampicata è fatta di sinusoidi, che a volte dipendono dall’allenamento e altre, contro ogni previsione, nonostante si facciano i compiti e l’allenamento ci sia, dipendono dall’umore, dai pensieri, dalla vita. E che scalare è una cosa che ho scoperto tardi, ma che se ci penso non riesco nemmeno a ricordarmi cosa facevo prima di scalare, nella vita, tipo la domenica. Scalare è diventato un centro, un modo per vivere i posti e a volte pure le persone e non riesco nè voglio immaginarmi la mia vita senza. Va bene così, ho imparato che i percorsi non sono lineari, che a volte si prende la rincorsa e tante volte semplicemente si fallisce e che fallire va bene. Bisogna avere pazienza, arrabbiarsi il giusto, ossia il tempo di un tiro fallito e ricordarsi che non è mai, per fortuna, quello il vero punto focale.
Il giorno che piove andiamo a vedere le miniere a Carbonia e le Laverie a Nebida. Le onde sbattono contro la scogliera e anche se non lo dico è uno dei momenti più fragili che vivo durante la vacanza. C’è un vento forte oggi, è uscito pure il sole. Mi fisso sull’orizzonte, ho le braccia che mi fanno male, i capelli scompigliati e una botta di nostalgia che sgorga da non so dove. E’ stato un 2021 difficilissimo, un anno che ha portato al pettine nodi che di anni ne avevano anche 20, un anno in cui ho pensato più volte di non farcela e a volte lo penso ancora, ma allo stesso tempo un anno in cui anche molte cose non le avrei mai immaginate, tipo questo momento sulla scogliera. Che non sarà nulla di che, ma mi ricorda che cosa penso che sia la felicità. E penso che somigli a questa roba qui, che stia insieme alla nostalgia e a volte sì, anche al dolore, che più che le volte in cui siamo stati felici forse la felicità sono le volte in cui abbiamo pensato di poterlo essere di nuovo e che ci fossero buone ragioni per continuare a combattere.
La Sardegna per me è diventata un posto in cui ho smesso di “andare” e ho iniziato a “tornare”, un posto in cui ho amici che più che amici sono la famiglia che mi sono scelta, un posto in cui ogni volta che torno mi stupisco di quanto sia cambiata la mia vita e quindi mi domando a questo punto, mentre sorseggio direttamente a canna dalla bottiglia un liquore al pistacchio, con la finezza di mio nonno quando andava a far prendere ossigeno alle grappe, seduta sul ponte del traghetto in partenza, chissà come sarò, come sarà la mia vita, con chi sarò e cosa penserò, la prossima volta che tornerò qui. Di sicuro a nessuna di queste domande, l’ultima volta che sono stata qui, avrei nemmeno lontanamente azzeccato la risposta.
Perché di sicuro ci sarà una prossima volta in cui tornerò in Sardegna.
Bel racconto. Brava 👏
Grazie, spero sia utile!!