Avvicinamento Io sul primo tiro Sosta primo tiro e mie picche nuove! Ange Io e Ange Io sul secondo tiro Ange in partenza sul terzo tiro
Il fatto che io sia un filo bipolare credo sia lapalissiano dal momento che i miei autoregali per Natale sono stati le picche nuove e un set di maschere idratanti per il viso volte a rimediare i disastri che combino al mio misero corpicino portando avanti un equilibratissimo stile di vita che oscilla tra il 1: “sangue botte violenza pezzi di ghiaccio in faccia lividi sul culo”, 2: “autoeducazione spartana del mio fegato a reggere birrette da supermercato che non reggevo a 18 anni figuriamoci adesso” e 3: “minestroni di verdure e creme idratanti da mille euro perché mi stacco a pezzi in tutti i sensi se non inizio un po’ a prendermi cura di me e accettare che tra un po’ possono votare quelli che son nati quando io già ero al liceo”.
Però vorrei ancora trasmettere l’idea di una persona perfettamente sana di testa che appena le son arrivate due picche nuove che voleva da tanto tempo ha reagito in maniera molto pacata e posata, tipo “andiaaaaaaaaaaaaaamoooo a fare una cascata vi prego amici andiamo a fare una cascata dai dai dai dai”, scodinzolando come un cane quando prendi in mano il guinzaglio.
Le picche son quelle artiginali dell’Azzali. Per averle mi sono rivolta ai miei contatti coi Poteri Forti dell’Alpinismo, ho sacrificato una capra e pagato col sangue. E ora posso fare schifo con un paio di picche che si meriterebbero candele di V e invece verranno disintegrate su salti di ghiaccio così estremi che mentre io starò già piccozzando i miei amici mi diranno “no Smara guarda, la cascata inizia lì, stiamo ancora facendo l’avvicinamento”, perché spoiler: a me il ghiaccio piace (e te pareva che poteva farmi cagare almeno una cosa mortale in montagna), ma prima di raccontarvi di candele di V fatte da capocordata su questo sito fate prima a invecchiare. Per quelle cose c’è Planetmountain, avete sbagliato sito.
Fatto sta che, impaziente e saltellante, scomodo l’ArcAngelo Angelo per l’ennesima volta e ci ritroviamo diretti verso la Val Febbraro una bella mattinata della vigilia di Natale, in giro solo noi e i droni per spararci. Non credo c’entrasse la zona rossa o arcobaleno quanto il fatto che fuori fischiava il vento e infuriava la tempesta e per uscire e andare in giro con ‘sto tempo devi proprio non avere una mazza di meglio da fare nella vita. E infatti eccoci qua.
Qua, in macchina, al parcheggio a controllare il meteo convincendoci che prima o poi avrebbe smesso di piovere ma più probabilmente più poi che prima, nel frattempo due balle chiusi in macchina ad aspettare che le condizioni si facciano dignitose. Alla fine ci decidiamo a scendere, nell’idea che “vabhe dai, almeno facciamo due passi se non smette di piovere”.
Sfondando qua e là arriviamo all’attacco col fiatone di chi ha corso il Tor de Geant e io, reduce da un periodo nel quale non sto su nemmeno in piedi figuriamoci attaccata a una parete verticale, di roccia o ghiaccio che sia, dubito dell’esistenza intera e ancor di più delle mie capacità.
Ange infierisce “parto io o parti tu?”.
Che fai, ti tiri indietro, con queste picche qui? Così inizio la stagione invernale con il solito armamentario che sembra che abbia svaligiato una miniera di ferro e il pensiero “finché ci sono viti sull’imbrago, c’è vita e io vado”. Parto io su un difficilissimo tiro di grado che non definiremo per decenza e perché la mia autostima è molto facile da distruggere e, pian piano, mentre il socio diventa parte integrante della cascata e subisce una metamorfosi in stalattite, faccio fuori quasi 60 metri di corda. Mi sento Dio onnipotente, faccio la sosta e mi rilasso. Sale Ange che ci mette giusto un terzo del mio tempo ma ciò non toglie che lo spirito di Gadd continui ad alleggiare sopra la mia testa e a farmi sentire un Dio onnipotente, tant’è che gli faccio un sacco di foto da secondo così quando avrò 70 anni le farò vedere ai miei nipoti dicendo loro “e qui è dove nonna scalava su ghiaccio da prima” e loro roteeranno gli occhi all’indietro pensando “miiii ancora ‘sta storia, che palle!”.
Poi parte Ange sui due tiri dopo, che son quelli già più duretti, ovviamente, e ci ritroviamo ad una sosta sotto una candela, a ridosso della roccia, dove dall’alto piove come se non ci fosse un domani e io arrivo con una bollita alle mani che mi ricorda che l’alpinismo fa schifo e non so perché sto facendo ‘sta roba.
Ange valuta se fare anche l’ultimo tiro, che nel caso avremmo fatto uscendo verso destra con pochi metri verticali e un canalino dopo, la parte centrale non è ancora molto farloccabile e sembra un po’ duretta, oltretutto considerato che siamo scesi dalla macchina che era tardissimo causa pioggia, che siamo fradici come due galline che han fatto il bagno e che non capiamo bene il quarto tiro quanto possa essere duro e lungo, ci accontentiamo di aver tolto la ruggine agli attrezzi e buttiamo giù le doppie.
Che poi, anche lì, facciamo la prima attorno alla colonna di ghiaccio e io mi ricordo, ancora una volta, che le doppie sulle cascate sono un tripudio di probabilità di schiattare male, bene che ti vada sono soste a spit arrugginiti e marci che sembra un incubo, altrimenti abalakov che io che vi devo dire, il segno della croce me lo faccio sempre oppure improbabili alberelli, colonnine, insomma, rimettiamo i piedi a terra che come sempre un po’ sono contenta.
Tempo di tornare a casa, farsi la doccia bollente e riprendere quei 20 gradi di temperatura corporea dispersi, mangiare e alla fine c’è poco da fare, gli alpinisti si sa che hanno la memoria molto corta, perché non vedo già l’ora della prossima! Sono proprio felice della giornata trascorsa e di aver provato il nuovo giocattolo!
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