Falesie del Ballabiot e Muro del Butch – domeniche d’autunno a casa in famiglia

Arrampicare è, per tanti, oltre che uno sport, un modo per vivere le persone e i posti; come un branco di animali alla ricerca del luogo a noi più adatto, l’autunno ci fa migrare dalle alte e lontane pareti delle vie estive alle falesie invernali. Non è ancora inverno, neve e ghiaccio mancano per ora e la domenica di mezza stagione porta voglia di compagnia e tacche da strizzare. E’ quella stagione delle falesiate in cui non hai più caldo, fai sicura col piumino e c’è un grip della madonna. E così domenica siamo andati all’inaugurazione della nuova falesia del Ballabiot!

I social network servono a tante cose buone, inveirci contro lo trovo fuori luogo e fuori tempo. Poi certo, servono anche e soprattutto a ricordarti che i tuoi coetanei hanno comprato una casa, fatto un figlio e preso un bellissimo labrador mentre tu ancora fai affidamento sull’oroscopo per prendere decisioni sul futuro, magari hanno pure stampato (nonostante il figlio e il labrador) il tiro sul quale tu sei al tentativo numero 47, ma oggi ci concentreremo sul fare buon uso di uno strumento, per esempio parlandovi di due nuove falesie nate negli ultimi due anni in quella che considero essere casa mia: il lecchese. E lo farò facendo buon uso del mio sito che comunque ho scoperto essere letto da un po’ di gente: si vede che la gente si sente vicina a chi raglia come un asino, so che siete là fuori, vi voglio bene, non siete soli!

Mi piacerebbe dire che sono di Lecco e in effetti, quando in giro capita di fare amicizia in via con qualcuno, alla domanda “di dove sei?” rispondo sempre “vicino a Lecco”, perché in fondo questo è il posto dove mi sento a casa. E per me, sentirmi a casa, mica è stato facile. Quello che chiamo “casa” è un territorio dove non sono nata, ma ci sono arrivata, “vicino” è la Brianza e avevo 13 anni. Da lì a conoscere Lecco ne son passati altri 10 di anni, ma alla fine ci siamo incontrati: io e questo territorio. E ci siamo incontrati soprattutto nel verticale, ci siamo incontrati in un modo che se penso che manco sono italiana mi viene un po’ un nodo in gola, a rendermi conto che cosa significhi “appartenere” ad un posto, al di là dell’esserci nati, a cosa genera identità e comunità, al di là delle formalità. Comunque ogni tanto qualcuno mi chiede se sono sarda, perché faccio Chifu di cognome: mi spiace deludervi, ho semplicemente imparato bene l’italiano.

Per me un territorio significa (anche) conoscere a memoria un posto, sapere il colore della roccia, sapere se è morbida o no, gialla o grigia, strapiombante o verticale, avere una mappa mentale dei sentieri e delle pareti, viverlo, condividerlo, raccontarlo, apprezzarlo. “Casa” per me è quel posto dove sai l’ora in cui arriva il sole sulle pareti, dove sai se la roccia asciuga in fretta o meno in base alla sua conformazione. “Casa” è andare nel bosco e trovarci sempre qualcuno che conosci.

Una delle caratteristiche del lecchese è che di falesie estive qua c’è sempre stato poco o nulla, sembra un girasole rotto che s’è incastrato a sud, così appena arriva l’estate e le giornate si allungano l’unico posto dove storicamente si poteva andare a scalare era il Nibbio. Non approfondirò il discorso Nibbio perché le guerre civili sono nate per molto, molto meno. Il Nibbio più che una falesia è un rito di passaggio, un luogo ameno ibrido tra un bar di paese, uno zoo, una falesia che sprigiona storia da tutti i tiri, una falesia dove ogni tiro è un mondo e dove per chiudere qualcosa devi sacrificare l’epidermide al Dio Tenenza e superare lo zoccolo basale alto 6 metri e volutamente e storicamente non chiodato, unto come le teglie di mia nonna quando spargeva il burro sul fondo prima di infornare le torte. E’ un posto bellissimo, lo giuro. Uno dei posti più storici di Lecco.

Ad ogni modo, due anni fa il buon Marco Nicolodi, istruttore della mia scuola di alpinismo di Carate Brianza nonché zoccolo duro degli arrampicatori lecchesi, un giorno si alza e prende trapano e spit e dà forma prima alla falesia del Butch e poi a quella del Ballabiot. Ogni tanto c’è qualcuno, cara grazia, che decide di starsene appeso le ore in parete a trapanare, pulire, chiodare, pulire, sistemare, disgaggiare, il tutto per poi sentirsi dire “ma che moschettonaggio di merda è questo passo?”. Grazie Marco!

Entrambe le falesie si trovano a Ballabio, poco prima dell’Alva sulla destra. Prima scelta strategica, prima dell’Avla, che se fosse stato dopo, l’Alva avrebbe fatto effetto triangolo delle bermuda assorbendoci tutti dentro e affogandoci nei pizzoccheri. Dalla rotonda da dove iniziano i tornanti della Grignetta, si prosegue invece verso Introbio e 500 metri sulla destra c’è prima quella del Ballabiot (si parcheggia di fronte a un concessionario, ci sono parecchi posti), poi poco avanti, dove c’è un’azienda agricola sulla destra e inizia la ciclabile, c’è il muro del Butch.

Entrambe hanno la caratteristica di avere avvicinamenti irrisori (evviva) e sono chiaramente di calcare, piuttosto morbido, quindi sappiate che quando non spazzolate le prese dopo averci versato sopra magnesite abbastanza da simulare le condizioni invernali non solo Giove vi vede e vi fulmina, ma poi tra un paio di anni non vi lamentate che son tutte unte. Per adesso magari mettetevi il casco a far sicura che le falesie son nuove e ogni tanto qualcosa viene giù!

Il Muro del Butch è esposta completamente a nord, se ha piovuto tanto lo strapiombo in alto cola e asciuga lentamente, ma se ha piovuto poco può darsi che non si bagni nemmeno! I tiri sono tutti dedicati ai fratelli Anghileri. La sezione centrale e principale è dedicata a Marco mentre il Muretto del Gio, poco più in basso e con quattro tiri di difficoltà media (dal 6a+ al 6c), è dedicata al fratello Giorgio. Il settore principale è caratterizzato da una fascia che taglia più o meno a metà tutti i tiri, leggermente aggettante che farà sì che ci sia un singolo movimento cane su tutti i tiri che proverete, una sboulderata in perfetto stile calci sugli incisivi che vi sfinirà. Marco ha chiodato la falesia, la tenenza purtroppo ognuno se la deve portare per sè! La chiodatura è ottima e umana e la falesia è perennemente in ombra a meno che non vi piaccia scalare al chiaro di luna di notte.

La falesia del Ballabiot invece ha un bellissimo terrazzo che dal basso non si vede, così potete piantarci tende, impalcature e campi base per i vostri project e per liberare i tiri ancora non liberati. Finita di chiodare un paio di settimane fa, ha uno stile simile al Butch, sono entrambe falesie fisiche, al Ballabiot ci sono molti più tiri rispetto al Butch e direi di massima concentrazione sui gradi attorno al 6c/7a. A differenza del Butch qui si sta bene al mattino d’estate, è esposta a ovest e quindi verso l’una arriva il sole, dunque d’inverno penso si possa andare a scalare anche pomeriggio. La falesia è appena nata, prendetevene cura e appendetevi in pace.

E’ inutile spiegarlo, al mondo, che un posto va valorizzato, che un posto va amato. Metà del mio cervello ormai è occupato da verticali che conosco a memoria e reglettes e tacche e buchi e disegni mentali, immagini impresse di forme e colori, di storie su una tacca su una parete in un paesino a ridosso di un lago e di una montagna, di cui magari al resto del mondo poco importerà, ma qui, per noi, quel posto ha un’anima. E lo so, che ci sono mille falesie al mondo più belle di quelle che ci sono a Lecco e lo so che il mondo è fatto di mille posti, persone e racconti che andrò avanti a voler vedere e sentire, ma ovunque andrò so anche che da questo territorio difficilmente mi staccherò. E di questo luogo difficilmente mi stancherò.

Grazie Marco!

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