Soste dolomitiche Io sul quarto tiro Io sul quarto tiro Elia in uscita da L4 L6 dall’alto Elia su L6 Ormai sulla cresta verso la vetta Io alla ricerca delle doppie Panorama dopo il temporale al rientro
La mia esperienza in Dolomiti è risicatissima: per un motivo o per un altro ci ho trascorso una sola settimana e le conosco davvero poco. Ma quel poco me lo ricordavo bene, le Dolomiti le riassumerei così, per chi non sa scalare (e dico “per chi non sa scalare” perché a volerla dire tutta di roccia stupenda in Dolomiti ce n’è a iosa, è che stupenda uguale compatta uguale gradi duri uguale bisogna saper scalare):
- i chiodi li vedi quando sei due metri sopra, sempre;
- i friend tengono, è la roccia attorno che viene via col friend incastrato dentro;
- Google maps del futuro me lo immagino col navigatore delle vie dolomitiche;
- se non soffri di vertigini, in Dolomiti comunque soffri di vertigini;
- ma lo sapete che hanno inventato gli spit, ma almeno nelle soste dai, che si vede l’attacco della via e sta 200 metri di aria sotto;
- le vie corte in Dolomiti hanno almeno 10 tiri, altrimenti è avvicinamento;
- quando hai finito la via mancano circa 300 metri di sfasciumi di II così stabili che se sposti un sasso frana la montagna;
- “scendere” da queste parti significa fare tre doppie, disarramicare un canale seguendo ometti improbabili, fare altre due doppie, seguire una cengia, lanciarsi col parapendio, chiamare l’elicottero, morire;
- alle 16 piove, sempre.
Questo il mio vademecum da queste parti.
Quando Elia, conosciuto dormendo alla Resegotti il giorno prima della Signal, mi propone lo Spigolo del Velo, rispolvero alcuni di questi ricordi e un po’ ci penso su! Anche perché la proposta arriva all’ultimo, venerdì mattina faccio una puntata sul Torrione Palma in Grignetta e torno a casa giusto il tempo di caricare il materiale: siamo già in direzione Pale di San Martino. La via la danno V+, sopravviveremo dai!
Dopo 4 ore di strada arriviamo al parcheggio, dotato di comodissima fontana e molto ampio e mangiamo al volo! Al mattino partiamo e i cartelli dicono due ore e mezza di avvicinamento: ce ne mettiamo una e mezza e io arrivo da una settimana piuttosto intensa e di sicuro non cammino affatto veloce! Arriviamo al rifugio dal quale, in 15 minuti di ferrata si arriva all’attacco, noi decidiamo di fare il primo tiro di III slegati, per velocizzare le cose.
Apro io le danze e una cosa mi colpisce subito: il primo tiro è dato III/IV- e nonostante sia così facile, la roccia è grigia e ruvida, mai sgretolosa e molto compatta anche su gradi dove ce la si aspetterebbe più rotta! Girava voce che le Pale fossero un’isola felice, in effetti la roccia mi ricorda tantissimo quella delle Grigne, più calcare che dolomia!
Il resto degli ingredienti dolomitici invece rimane uguale: ve li do io due spicci per metterci due chiodi in più eh! Nulla, tu vai avanti nel nulla, ci alterniamo i primi tiri con soste su clessidre e sfruttiamo un immenso bagaglio alpinistico di una manciata di anni e dieci vie serie per capire dove va la via; infatti ci perdiamo al terzo tiro. Tutto come da copione!
Sotto al primo torrione dello spigolo ci sono evidenti segni di chi ha risalito dritto per dritto lo spigolo, ma io se fossi qua con gli scarponi nel 1920 quando l’hanno aperta (….) andrei lì su a destra, dico a Elia, verso quella fessura-camino. Infatti la relazione di Sass Baloss risale il primo torrione per poi specificare che non è la salita corretta, le difficoltà sono simili ma scendere nell’intaglio tra il primo e il secondo non è scontato e richiede una doppia!
Elia non è troppo convinto e dietro di noi c’è un’altra cordata: però io il mio tiro l’ho scelto e lo faccio volentieri. Vado in avanscoperta, mi avvicino e almeno i chiodi ci sono, buon segno, chiaramente nella parte superiore del tiro dove diventa muro verticale. Il camino è l’unico pezzo di roccia gialla di tutta la via, troppo stretto per essere camino, troppo largo per essere fessura, è un caminofessuraBardo: sa solo quello che non è. Per esempio non è proteggibile, infatti mi incastro per bene a riposare un po’ di volte, cadendo finirei diretta sul terrazzino sotto, ne faccio volentieri a meno. Quando esco dal caminofessuraBardo sono ghisata per bene e il resto del tiro non mi pare comunque semplice, tant’è che nonostante qui ci siano un po’ di chiodi, tra un chiodo e l’altro le braccia iniziano a reagire ben poco. Mi do mentalmente della schiappa pensando che il tiro è dato V+!
Arrivo in sosta e recupero Elia, che però mi dà ragione sul tiro a suon di resting. Sale anche il capocordata della cordata dietro di noi e in sosta la conclusione è una sola: il V+ delle Dolomiti aperto negli anni ’20 è una trappola per alpinisti della domenica, tipo noi. ‘Sto V+ puzzava di VI come pochi!
Proseguiamo e i tiri dopo risultano decisamente verticali e mai banali, solo da queste parti ti viene quella sensazione di voler scaricare le soste appoggiando i piedi da qualche parte ma non sai mai dove. L’ultimo tiro impegnativo è quello tra il secondo e il terzo torrione, dove affronto la mia ansia nel tirare da prima lunghezze che vengono descritte con la parola “placca” (per me uguale a kriptonite), ma alla fine va tutto liscio, mi domando se una delle clessidre che ho rinviato avrebbe mai tenuto ma Elia mi conferma di averci addirittura staffato! Oggi i tiri di V sanno proprio regalare immense sorprese. Proseguiamo spediti verso la cima e nemmeno il tempo di ammirare il Sass Maor che c’è subito da stare attenti a ometti, frecce, arrampicare una paretina di IV e poi trovare un anello di calata custodito dalle stesse fiamme di quelle di Mordor. Per scendere, in Dolomiti, manca solo un minotauro che ti rincorra sbuffando tra le guglie, sarebbe perfettamente adatto nella scenografia.
Scendo per prima a fare le doppie, inizialmente tre, poi facciamo su le corde e Mordor si arrabbia con noi scatenando l’inferno in un canale dal quale dobbiamo disarrampicare: vento, polvere e tuoni. Un po’ mi spiace per la cordata dietro e il non aspettarli ma non voglio assolutamente prendere l’acqua, ci fiondiamo giù di corsa, facciamo un’altra doppia, disarrampichiamo fino all’ultima doppia e per fortuna il rientro è a 5 minuti dal rifugio dove arriviamo appena prima che fuori scenda giù il diluvio. Spero che i due dietro non abbiano fatto tutte le doppie perché con questo vento e temporale, se sono ancora lì in mezzo, missà che si stanno divertendo parecchio!
Peccato che nella folle corsa del rientro mi sia dimenticata di farmi restituire un cordino che avevo lasciato alla cordata dietro! L’avevo trovato a mia volta e mi piaceva un sacco, mannaggia.
Sarebbe un ottimo orario per tornare a casa ma decidiamo di far spiovere cenando al rifugio e di scendere dopo il temporale, con dei colori bellissimi e un cielo pulitissimo. Lo Spigolo dietro di noi è uno spettacolo: che Cima della Madonna!
Al vademecum di cui sopra aggiungo:
- il V+ degli anni ’20 in Dolomiti è un retaggio della scala chiusa;
- esistono Dolomiti e Dolomiti, Brenta e Pale per me per ora sono una spanna sopra le altre.
Il rientro in macchina lo facciamo come è doveroso che sia: a tiri di autostrada, ci diamo il cambio tre volte fino a Milano…la stanchezza inizia a farsi sentire.