Via Molteni al Badile – ci sono posti che sono luoghi

Gli avvicinamenti a qualsiasi parete della Val Masino sono uno strazio annuale che, complice la demenza giovanile, segue perfettamente le stagioni: l’inverno prontamente  ne cancella il ricordo, la primavera li diluisce in un “massì, son due tornanti e sei lì, saranno nemmeno due orette a buon passo” e l’estate ne fomenta il desiderio spinti solo dalle bellissime pareti che ci stanno in fondo. L’autunno invece giuri che non lo farai mai più e invece nulla, rieccoci alle Termopili ad agosto, massì son due tornanti da qua in Gianetti. Con dietro l’occorrente per bivaccare son duecento anni, altro che due tornanti. Ma menomale che abbiamo fatto l’avvicinamento il venerdì sera! Ma poi dipingeteli color sasso ‘sti rifugi, almeno uno non li vede proprio, che sembra Achille e la tartaruga, non arrivi mai! Così io e Edo arriviamo in Gianetti venerdì sera, straziati dall’avvicinamento, praticamente srotolo il sacco a pelo sui gradini del rifugio e, tempo di fare un’ottima zuppa di funghi nel jetboil, siamo pronti per svenire. Al mattino dopo ottima colazione di latte al sapore di funghi bruciati e caffè istantaneo e siamo pronti per la Molteni. Più o meno.

A me della montagna comunque, evidentemente, mi piace soprattutto lo schifo. Nel senso più lato possibile. Il “a me mi” è volutamente rafforzativo.

Nonostante gli avvicinamenti da queste parti siano uno strazio, nonostante il caffè non faccia effetto e i funghi al mattino non siano un granché, quando ancora addormentata guardo verso il Badile ci vuol poco a capire perché Gaddi abbia intitolato la famosa guida “Nel regno del granito”. 

E’ davvero il regno del granito: grigio, ruvido, le cime sono famosissime e l’arrampicata da queste parti sembra che sia nata insieme alle montagne stesse. Qui l’alpinismo non è un accessorio e questo non è un posto, questo posto è un luogo dove l’alpinismo sembra essere l’ingrediente segreto e principale allo stesso tempo. Ci sono pochi luoghi che esercitano su di me un fascino così magnetico, uno è il Bianco e l’altro è sicuramente la Valle.

E’ la mia seconda volta sul Badile, anzi, anche la seconda per Edo: freschi di corso due anni fa avevamo fatto la Normale che, per qualcuno che scala da un tempo quantificabile in settimane più che mesi, non è per nulla stupida per capire cosa significa orientarsi su una grande parete. Devo dire che due anni dopo, la Molteni ci fa lo stesso effetto: per qualcuno che scala da due anni non è per nulla stupida, per capire cosa significa sapersi orientare. Ah, aspetta, quindi in due anni non abbiamo imparato nulla? Però ora mi perdo su due gradi in più, buono dai. Ve l’ho detto che a me, della montagna, mi piace soprattutto lo schifo.

Al mattino ci dirigiamo verso il nevaio, ci siamo portati dietro i ramponcini e male non hanno fatto dato che il nevaio è ghiacciato. Risaliamo fin dove possibile, ovvero fin dove per saltare dal nevaio alla roccia non occorre il record mondiale di salto in lungo e ci spostiamo su un terrazzino roccioso. Mi preparo il materiale e vado in direzione sinistra risalendo per facili placche fino alla fine delle corde, recupero Edo e riparto di nuovo cercando l’attacco della via: trovo quello di Stella Retica (segnato con SR in bianco)! Buono dai, fuochino! Giro giro tondo, casca il mondo, casca la terra, toh due chiodi là a sinistra, vedo il famoso diedro a scalino, davvero riconoscibile e capisco di aver già fatto il primo tiro. Credo che ormai solo a inizio stagione si riesca a fare l’attacco diretto.

Recupero Edo che parte per il diedro a scalino e i prossimi due tiri scorrono tranquilli. Quando Edo riparte per la quarta lunghezza, dalla quale la via si porta in aperta parete, dall’alto sento che mi chiede consigli ma vedo e sento ben poco. Sento in compenso il passar del tempo e la cosa non mi piace. Capisco che sta cercando un’irreperibile sosta, al che gli dico di fare una sosta su friend lì che poi ne parliamo.

Effettivamente sono presenti resti di cordini e chiodi un po’ ovunque, segno che in questo triangolo delle Bermuda ci si son persi in tanti. Ve l’ho detto che a me della montagna piace soprattutto lo schifo, sarà che è quello che mi riesce meglio farci, in montagna! A posteriori giudicando dalla relazione, dopo il terzo tiro siamo decisamente andati troppo a sinistra, ad ogni modo poco male, mi faccio strada tra lamoni che suonano come le angurie ad agosto, lasciando dietro di me l’intera serie di friend (anche perché non trovo nulla), punto convinta ad un diedro e, quasi al termine delle corde, urlo vittoria trovando due bei chiodi. Non so se sia una sosta originale o meno, ma sicuramente dobbiamo arrivare a quel diedro là in alto e da qui si passa. Edo mi raggiunge in sosta e lo vedo un po’ perplesso per il tiro appena fatto, “ma come hai fatto a non azzerare?” mi chiede: non era difficilissimo, ma sicuramente molto delicato e nonostante le protezioni fossero belle, i miei dubbi erano proprio sulle lame e la roccia  stessa, tant’è che ho scalato tutto il tiro senza fiatare nè fermarmi, cosa molto rara, ma una bella balta in quel momento non volevo nemmeno prenderla in considerazione!

Sopra facciamo un diedro non difficilissimo che ci porta alla base di un secondo diedro, dove troviamo finalmente una sosta di cui sono certa, con uno spit. Io, non per creare confusione, ma perché la via è facile da perdere e magari torna utile, lascio anche una descrizione (Relazione Molteni) dei tiri che abbiamo fatto noi: la parete è grande e larga, io non sono Messner, ognuno poi attivi le proprie risorse. Comunque, relazione della guida di Gaddi e un po’ di relazioni online a confronto, a casa, ho capito che siamo andati praticamente a intersecare la Diretta Fiorelli, un pelino troppo a sinistra.

Comunque riprendiamo la via e faccio il diedro (bello!) che porta alla sosta del famoso traverso e recupero Edo che parte per il traverso: rimango un po’ sul chi va là quando decide di azzerare usando la fissa! Non perché io sia contro, anzi, tiro qualsiasi cosa pure io! Ma perché la fissa in questione è un cordino mica troppo solido e non vorrei ritrovarmelo in sosta tipo Tarzan sulle liane. Finisce il traverso sul quale parto io, effettivamente nel ’35 questi passi li facevano davvero tipo Tarzan sulle liane, dondolandosi da una parte all’altra e pensarli qui con gli scarponi e le corde di canapa mi fa venire la pelle d’oca. Cerco di scalare il più possibile in libera, per lo stesso motivo: non vorrei ritrovarmi in sosta tipo Jane sulle liane, sbattendo contro la parete.

Riparto per un tiro placcosino che corre lungo lo spigolo e dal quale vedo l’inconfondibile obelisco della cima del Badile e la gente scendere lungo la normale; in poco tempo arriviamo al bivacco! Attenzione solo ai massi lungo le placche sommitali, anche se vien voglia di prenderli in mano, se non li ho toccati io che in placca sto come d’autunno sugli alberi le foglie, un motivo c’è. E il motivo è che la forza di gravità è una stronza maledetta e quei massi sono appena appoggiati!

Facciamo la normale a scendere, in Gianetti ho chiesto a Mimmo se le doppie del soccorso (delle belle Raumer) attrezzate lungo la parete ovest, fossero sistemate. Due anni fa eravamo scesi da lì e sono davvero lineari e ottime, col peccato che l’ultima non arrivi per nulla a terra: pare che il nevaio fosse molto più alto prima. Ci eravamo calati attrezzando una sosta e avevamo trovato un chiodo in loco non troppo rassicurante. Decidiamo di ripercorrere la normale a ritroso questa volta e devo ammettere che a ravanare si fa sempre in tempo, nonostante avessimo salito proprio la normale due anni fa, scendere non è così scontato. Tant’è che (cosa che non faccio con regolarità) mi segno le doppie appena tornata a casa, è una di quelle cose che so torneranno utili. Lascio anche qui una descrizione (Discesa normale): la parete è grande e larga, io non sono Messner bis, le vie del signore sono infinite e i chiodi sul Badile sono tantissimi.

Me lo ricordo ancora, uscendo dal passo del Barbacan, ormai parecchi anni fa, quando stavamo facendo il Sentiero Roma e Edo mi disse “Quello è il Badile!”. 

E io devo aver risposto una cosa tipo “e questa invece la zappa?” 

“Ma idiota, credo sia una delle cime più famose da queste parti ma ci si arriva solo arrampicando.” 

Alzai lo sguardo e vidi, per la prima volta, il Badile.

Ecco Smara, questo è il Badile, ci sei su, in cima, ci sei arrivata con le tue zampe e la tua testolina di rapa, l’avresti mai detto quel giorno pezzata morta dopo il passo del Barbacan che un giorno, pian piano, avresti iniziato a conoscerlo così da vicino, il Badile? E che in quella valle, in queste valli, ci saresti tornata abbastanza volte da saper dare un nome a tutti quei sassi, massi, cime, bivacchi, torrenti, ruscelli, vie, storie e racconti?

Ci sono posti che sono luoghi. La Val Masino è decisamente uno di quelli.

Davvero nel regno del granito. 

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