Corno Stella e Rocca Castello – bivacchi, cime e piedi cotti

Ogni anno, detto poi come se scalassi da dieci anni, mi metto tra gli obiettivi quello di andare in un posto nuovo a scalare: quest’anno è toccato alle Alpi Marittime. Sapevo da tempo che anche Ange ce le aveva in mente quindi in poco tempo ci ritroviamo ciascuno a proporre alcune vie, tra Rocca Provenzale e Corno Stella.

Per me programmare un po’ di giorni in giro con Ange è tipo il mercato “toh signò massì famo cifra tonda, è 6c, che faccio lascio?” “No oh che stai dicendo? Vabhè buona dai, lascia lascia, ‘li mortacci dell’anima tua.”

Ed è così che partiamo diretti al Corno Stella con l’intento però di non fare appoggio sul rifugio Bozano. Perché abbiamo paura del Covid. No, scherzavo, abbiamo solo paura delle soste brutte, infatti decidiamo di bivaccare perché ci piace puzzare, stare fuori, dormire scomodi e preferiamo investire le risorse economiche in birre piuttosto che in letti comodi, soprattutto quando ci son così tanti bei massi sotto ai quali costruire hotel stellati.

Comunque confermo le voci che girano sul rifugio: è carino e coccoloso, piccolino e colorato come la casetta di Hansel e Gretel, il rifugista è tanto disponibile e pieno di consigli ed è uno di quelli premurosi e materni che fa la conta delle paperelle in parete per sincerarsi, a fine giornata, che ritornino tutti a casa.

Fatto sta che arriviamo il pomeriggio al parcheggio con l’intento di stare su tre giorni e, per quanto una mutanda abbia due versi e una maglietta una volta che puzza tanto vale tenerla su piuttosto che cambiarla, gli zaini si fanno sentire: tra cibo, materiale per scalare e per bivaccare di sicuro la salita non sarà leggera! Poi siccome siamo sempre molto attenti alle priorità contiamo il cibo minuziosamente ma non lasciamo certo giù una buona bottiglia di vino! Per fortuna che Ange ha il saccone della BD e tra quello e il mio zaino al quale appendo un po’ di roba fuori, ci facciamo stare tutto. Comunque ho trovato un modo per far andare Ange al mio passo negli avvicinamenti: basta lasciargli uno zaino davvero pesante! Quando arriviamo nella conca dove si trova il rifugio cerchiamo un masso per bivaccare adatto e ne troviamo uno già abbastanza sistemato. Spostiamo un po’ di sassi e sarà perfetto! Home sweet home per un po’ di giorni e siamo pronti per andare a dormire.

Forse avremmo dovuto sistemarlo un po’ meglio comunque dato che, nel bel mezzo della notte, mi sveglio e intravedo un’ombra gironzolare per massi attorno: è Ange, con il materassino sotto mano tipo baguette, alla ricerca sonnambula di un posto più piatto. Io mi rigiro nel sacco a pelo, brontolo qualcosa dicendogli di andare sulla piazzola dell’elicottero. La verità è che io dormirei pure in piedi. Sconsolato lo sento ritornare ad una certa, la sera dopo passeremo un po’ di tempo a spostare sassi e rendere il bivacco più comodo.

Al mattino le pareti del Corno Stella e Catena delle Guide, disposte ad anfiteatro, sono davvero invitanti. Scegliamo Giacugià nella parte inferiore e la concateniamo con Il Barone Rampante sopra per il nostro primo giorno.

Giacugià ci sorprende subito: non conosciamo la zona e non sappiamo quanto siano protette o meno le vie, ma perfino io trovo la spittatura un po’ troppo ravvicinata e fidatevi che ce ne vuole! Finiamo la via e usciamo sulla cengia che divide nettamente lo zoccolo dalla parte superiore della parete dove attacchiamo il Barone Rampante. Infatti qui cambia tutto! Il grado è sempre lo stesso ma gli spit si fanno decisamente più desiderare e la via in generale è più verticale, pur sullo stesso grado: è molto placcosa e tecnica e la parete è esposta a sud-ovest, quindi sugli ultimi tiri il sole inizia a scaldarci per bene i piedi facendoli bollire a fuoco lento. Decisamente altra musica rispetto alla prima via. Ange tiene più botta di me, io sugli ultimi tiri penso solo a togliermi le scarpette e ogni volta che lo penso Dio mi sente e mi punisce con un quarzetto tanto bello quanto piccolo sul quale caricare la punta del piede.

Quando finiamo comunque abbiamo cumulato circa 400 metri di via e Ange, inaspettatamente, rinnova la sua fede caiana proponendomi di andare in cima. Alla prima gli rispondo un secco “eh?”. No, è serio.

Ma lo sapete che sulle cime delle montagne non ci sta nulla? Lui si è già slegato e la vede mentre io, ancora in sosta pochi metri sotto, non avendo visibilità chiedo quanto manca fino alla cima.

“Massì, son 5 minuti, famo 10 che facciamo cifra tonda, che faccio signò, lascio?”

Lasci lasci pure ‘sta volta, che i 5 minuti e cento metri poi son stati 20 minuti di sfasciumi. “Eh in effetti sembrava più vicina” mi dice in cima. Eh sarà un miraggio delle croci sulle vette, che ti devo dire. Ma comunque abbiamo una foto in vetta al Corno Stella da bravi caiani diligenti. Mica male!

Quella foto (quella eh, mica il fatto che io sul Barone Rampante ci ho messo una vita a tiro) ci faranno ritardare un po’ la discesa, facciamo le doppie e torniamo alla cengia mediana giusto in tempo per goderci la grandinata estiva con temporale. Ci infiliamo sotto un tetto e aspettiamo che smetta prima di proseguire, recuperando le corde totalmente zuppe.

Se non è sereno si rasserenerà, cita la filastrocca e infatti il sole esce di nuovo proprio mentre ormai ci stiamo gustando la birra al rifugio prima di tornare al nostro hotel di lusso dove cucinare il risotto allo zafferanno Knorr liofilizzato che mi domando, salvo queste situazioni, chi cazzo se la compra ‘sta merda per mangiarsela normalmente?

Puzziamo già. Di cane bagnato misto capra in calore. Ottimo direi come primo giorno da queste parti!

Per il secondo giorno scegliamo Adrenalina + Via dei Lupetti.

Il menù di oggi prevede strapiombini di varia difficoltà, piedi non ne abbiamo più, è giunto il momento di bruciarsi le braccia! In realtà il secondo giorno è quello che ci piace di più, le vie sono molto godibili e i piedi hanno modo di riposarsi di tanto in tanto. Sulla via dei Lupetti la spittatura è lontanina quanto basta per drizzare bene le orecchie. Dall’alto un po’ di volte mi ritrovo a dire “io non vedo nulla dopo”. E’ la spittatura covid: ormai puzziamo così tanto che scegliamo una via che ci consenta l’adeguato distanziamento sociale.

Questa volta niente croce di vetta, giù doppie e direzione birra: round 2 andato.

Il terzo giorno ci lasciamo ispirare dall’alpinismo classico e, avendo solo mezza giornata a disposizione perché pomeriggio vogliamo scendere, scegliamo il Diedro del Loup sulla Catena delle Guide.

Se fosse in ombra sarebbe pure bello e per quanto da proteggere, se le soste fossero vagamente belle non ci saremmo poi tanto lamentati. Io arrivo in una sosta e quando è il momento di farla trovo un chiodo penzolante, uno che sembra buono e uno spuntoncino appena: da quella sosta poi partirà Ange per il camino del tiro chiave, in libera VII, oggi decisamente V e A0!

Morale della favola: da queste parti, via che vai, protezioni che trovi….

Quando ormai pensiamo di aver concluso le nostre esperienze al Corno Stella, sul più bello, si incastrano le doppie. E pensare che il rifugista ci aveva detto di non saltarle facendoci ingolosire da doppie da 60 metri. Abbiamo in mano mezza…mezza. Una breve ripassata del pedalino perché ovviamente si incastrano su uno strapiombino e Ange, eroe moderno, risale le corde fino al maledetto galeggiante colpevole di tutti i mali del mondo.

Oggi giro di birre bis, direi che ci stava. Inforchiamo gli zaini e scendiamo abbastanza cotti.

Ma prima di tornare a casa non rinunciamo ad un assaggio appena della Rocca Provenzale, dove andiamo a dormire per poi fare King Line alla Rocca Castello il giorno dopo. Su questa via ho ben poco da dire se non che è tranquilla e davvero bella e che ci sono due sentieri: uno ripido che parte dallo spiazzo dove si parcheggia, l’altro morbido che parte 1 km di tornanti di strada sterrata più in alto. Noi, per evitare di devastare ulteriormente il ginocchio già concio di Ange, scegliamo il secondo avvicinamento.

Solo che non capiamo si tratti di 1 km e mentre le macchine ci superano ci viene il dubbio che forse avremmo dovuto proseguire in macchina: il ginocchio di Ange ringrazierà! Che tonti! Abbiamo allungato l’avvicinamento di mezz’ora buona!

Quando la giornata finisce salutiamo le Alpi Marittime stanchi ma contenti. Sarebbe bello durare quanto i nostri racconti ma loro dureranno più di noi, dice Benni.

Sarebbe anche bello durare più dei tre strati di pelle, ma loro dureranno meno della nostra voglia di scalare.

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