Biancograt al Bernina – i tentativi, la morte e il resto della vita

Ci sono due sensazioni che ho imparato ad individuare bene in montagna: la prima è quella del non voler essere altrove. Che finché sono salite al proprio livello è scontato, ma non lo è quando la situazione diventa leggermente di disagio, non lo è quando tutto sommato un divano, una coperta e un film non sarebbero poi state una così pessima idea. Eppure l’ago della bilancia è sempre quello: comunque non vorrei essere altrove, ho scelto quel luogo, ho scelto quell’esperienza e quando sono lì tutto ciò che ho attorno è ciò che vorrei.

L’altra sensazione è più che altro uno scudo: per andare in montagna bisogna schermarsi un po’ dal resto della propria vita. Perché se iniziassi a pensare al resto, perderei la concentrazione e mi ricorderei quant’è importante quel “resto” e quanto comunque non vorrei mai perderlo. E in certe situazioni si ha bisogno di tutte le proprie energie mentali, senza riuscire a dividerle con nessun altro pensiero.

Comunque si potrebbe parlare sempre e solo delle ciambelle che nascono col buco e di quelle volte in cui è andato tutto bene ma non sarebbe giusto, nè sarebbe vero. Perché la montagna è fatta anche di tentativi, di fallimenti, di paure non superate e di giornate in cui in fondo siamo solo contenti…di essere tornati a casa. E’ fatta di quella volta che ti sei svegliato al mattino e per fortuna pioveva, di quella volta che per fortuna non c’erano le condizioni e siamo rimasti a casa scaricando pure la coscienza sulle condizioni avverse, è fatta sì, di tante giornate che sentiamo più grandi di noi. La Biancograt per me è andata così: è finita dritta dritta ad alimentare il foglio “tentativi” nel file excel dove segno le salite e sono ben contenta di aver infilato la coda tra le gambe ed essere tornata a casa!

E comunque ho deciso di parlarne lo stesso perché il motivo, o i motivi, sono stati particolari. Si parla spesso di paura, una paura che diventa un confine sul quale andare a combattere, da spostare un po’ più in là, un’asticella che siamo fieri di saper alzare di volta in volta, una compagna fedele che comunque ci preserva, di tanto in tanto, anche se ci fa arrabbiare sentirla. Però non si parla mai dell’oggetto di quella paura. Alla fine abbiamo paura di una sola cosa, ridotta all’osso: è paura di morire. La morte in montagna non succede mai finché non succede all’improvviso, spesso per errori davvero superficiali, spesso non nei momenti di difficoltà tecnica reale, ma laddove col tempo ci si sente sicuri. La morte esiste e la prima volta che l’ho vista da vicino aveva la forma di un corpo verricellato inerme a cento metri da me. L’alpinismo è un gioco ma è un gioco serio, è un gioco finché non finisce male. E’ emozionante sì, finché non presenta il conto. E’ una sfida sì, finché non la si perde.

Non mi era mai successo di incontrarla tanto da vicino, la morte, in montagna. E come tutti l’ho sempre evitata, non considerata proprio, è una paura latente, un’opzione nemmeno vagliata, una possibilità mai davvero pensata.

Andiamo in montagna per svariate ragioni, molte delle quali comuni, altre davvero intime e personali, comunque in nessuna delle persone che frequentano la montagna ho trovato il disgusto per la vita, anzi. A casa ci vogliono sempre tornare tutti. E la dicotomia che si vive è davvero una rottura interiore, una scissione molto potente tra la bellezza delle esperienze e dei luoghi e la loro fatalità. E’ un eterno canto delle sirene.

E’ una introduzione piuttosto lunga ma è, e per sempre sarà, il principale ricordo che avrò di questa giornata. Anche perché della salita in sè ho poco da dire, se non che non l’abbiamo finita!

Mi organizzo in falesia una sera in settimana con Ale e Giulia che non sono molto convinti (leggendo penseranno di aver fatto bene, i bastardi), Edo invece vorrebbe proprio farla ed essendo da tanto che non andiamo in montagna insieme, decidiamo di andare comunque solo noi due.

Questo è un blog di racconti di montagna, non tanto di relazioni, però metti che uno va a leggere cercando informazioni, alcune cose le vorrei dire, prendetele come consigli non come dogmi: non salite mai da Pontresina in giornata, siete pazzi? Non valutatela come scelta, lasciate perdere! E’ un avvicinamento da cavalli bardati di pura razza, lo so che non è difficile tecnicamente, è solo un sentiero. E’ solo un sentiero che da Pontresina all’attacco della Biancograt son 14 km e 1.800 metri di dislivello. A ognuno le sue scelte sulle forme di autoflagellazione da scegliersi.

Col senno di poi, quando mi verrà voglia di ritornare in questa valle per chiudere i conti, salirò alla Tscherva il giorno prima, magari bivaccando per evitare il costo! Come salita la Biancograt è davvero scomoda, è una di quelle salite infami che non finisce dove comincia, quindi si parte da Pontresina per poi scendere dall’altra parte. Comunque sia è molto difficile farla in giornata, quindi un rifugio (tendenzialmente il Marco e Rosa, come l’avevo pensata io) ci va e ci va anche il ritorno alla macchina con il treno il giorno dopo.

Facciamo l’avvicinamento freschi, l’unico momento di panico è quando iniziamo a risalire la morena del ghiacciaio ancora slegati e stiamo camminando proprio sul ghiaccio coperto da sassolini, senza ancora nemmeno i ramponi. E sotto di me sento un secco colpo di assestamento dato dalle scaldate del ghiaccio, seguito da un altro paio di suoni simili. I buoni auspici di prima mattina uno dovrebbe ascoltarli, alla fine siamo quasi sotto la terminale e decidiamo di legarci subito, che è meglio.

Arriviamo all’attacco agilmente e attacchiamo subito la cresta, mi alzo appena sulla roccia e mi sorprendo nel trovare tanti spit in via! La parte di roccia è davvero tanto protetta, con tanto spit e anello di sosta! La Svizzera mi lascia sempre perplessa, ancora non riesco a capire bene cosa aspettarmi, alcune zone e alcune salite sono proprio protette a prova di bomba, altre pareti svizzere sono notoriamente … no fly zone.

La parte di roccia scorre bene, quando usciamo sulla cresta mai ci saremmo aspettati quello che poi è successo. Una persona poco davanti a noi scivola e, rimbalzando sulle rocce verso il versante del Morterasch, finisce in una zona crepacciata alla base della parete. I suoi soci sono ancora in cresta, chiamano i soccorsi e quando l’elicottero della Rega si avvicina alla cresta perlustrando la zona cerco semplicemente di non pensarci, anche se diventa difficile sia non pensare al motivo sia non pensare all’elicottero che fa tantissimo rumore, distrae e fa anche un bel vento in cresta!

La Rega fa avanti e indietro parecchie volte ma alla fine individuano il corpo, calano il verricello circa 400 metri sotto la cresta e lo sollevano da un crepaccio. 400 metri di salti di roccia e neve.

Mentre recuperano il corpo mi rendo conto che sto tremando come una foglia e che ho una nausea improvvisa davvero forte (che non ci vuole molto si trasformi in vomito). All’idea di fare altri cento metri e superare esattamente il punto dove quel corpo è scivolato giù semplicemente mi passa la voglia, mi sale la paura e sento che l’esperienza sta diventando forzata, un brutto ricordo, sento, cosa che per fortuna succede davvero poco, che vorrei soltanto essere a casa sul divano. Il filtro difesa di cui prima si spezza e come un’onda penso a tutte le salite che ancora voglio fare, a tutti i posti al mondo che vale la pena vedere e a tutte le persone alle quali voglio bene, a tutto quel “resto” della mia vita che voglio vivere. Un insieme di immagini che mi fa prendere una decisione, accolta senza dubbi anche da Edo: torniamo indietro e lasciamo perdere.

Abbandoniamo la salita senza troppe esitazioni, gli anelli di calata svizzeri saranno una benedizione, sono studiati davvero a tavolino: 28 metri precisi, giusti giusti per una corda da 60 con l’avanzo di sicurezza. Le doppie filano giù lisce e anche la paretina a ripassare la terminale.

Da lì indrè a Pontresina sono solo 14 km di strada. Ci arriveremo devastati di piedi, polpacci, cosce, spalle per lo zaino. Non si può dire che in termini di allenamento la giornata sia andata a vuoto! A casa poi faccio mente locale e 30 km con 2.000 metri di dislivello in montagna in giornata non li avevo mai fatti! Ridiamo dicendo che era meno faticoso proseguire la salita! Fisicamente parlando è vero.

Ho avuto paura, tanta, questa volta troppa. E per quanto ci piaccia vincerla ed essere supereroi, la paura ci rende umani e a volte, la paura ha anche le sue ragioni.

Di un fallimento si può dare la colpa a tante variabili: il meteo, le condizioni, il socio, un mal di pancia, un incidente o qualsiasi altra cosa ci scuota troppo, ma una “colpa” ce l’abbiamo sempre anche noi: ci sono volte in cui non ce la sentiamo. E quest’ultima cosa siamo sempre restii nel volerla ammettere, perché per andare in montagna va di moda scaricare le proprie paure al resto delle variabili coinvolte e un po’ salvarsi sempre la coscienza. E nessuna delle altre variabili è davvero limitante quanto possiamo esserlo noi, sia quando funziona e siamo più determinati e forti del resto delle condizioni, sia però quando non funziona. Quindi non darò la colpa a nulla, la cresta era in ottime condizioni, il meteo perfetto, i tempi giusti, semplicemente ci era passata la voglia.

Ma in fondo, davvero, che sarà mai ammettere che ogni tanto, così come a volte riusciamo in ciò che ci sembrava impossibile, altre volte invece semplicemente abbiamo avuto paura?

E comunque il resto della mia vita, quell’ondata improvvisa di immagini fatte di persone, di ricordi e di progetti futuri ha senso di esistere e per quanto in montagna io sia brava a difendermi, sono stata contenta di sapere che per me, a differenza della persona dell’incidente, quel resto della mia vita c’è ancora. E la Biancograt rimane lì, ad aspettare che mi dimentichi quanto diamine è lungo l’avvicinamento e che mi si sbiadisca un po’ il ricordo.

Lo vedo sempre lì, il confine davvero denso di nebbia e molto labile da definire: è che vale la pena vivere, viversi la montagna, viversi il mondo, viversi le persone. Non morirci, viverle.

https://www.rsi.ch/news/ticino-e-grigioni-e-insubria/Un-morto-sul-Piz-Bernina-13222554.html

 

 

2 pensieri su “Biancograt al Bernina – i tentativi, la morte e il resto della vita

  1. Ciao Smaranda, grazie di aver scritto questa pagina. Mi dispiace per la brutta esperienza, purtroppo a volte servono anche questi momenti “forti” per smuoverci dalle nostre sicurezze e farci fare i conti con quel che ci giochiamo. Poi tanto si torna in montagna, però avendo fatto bene i nostri conti, consapevoli di tutto.

    1. Già, è stato decisamente un momento triste ma forte. Bisogna proprio prenderne atto e radicarsi molto nelle scelte che si fanno in montagna, perché il gioco deve decisamente valere la candela e non ha senso perdere e giocarsi tutto il resto!

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