Diciamo che prevalentemente io non soffro la quota. Sono una di quelle bastarde fortunate che a 2.000 come a 4.000 stanno più o meno uguale. O meglio: penso di non soffrire la quota, tanto anche a 800 metri ho la nausea, il fiatone, il mal di testa, sono così allenata che mi basta il dislivello delle scale di casa per uccidermi. Però le mie puntate di alpinismo in quota sono state tutte caratterizzate da un fiatone esagerato ma mai da sintomi di mal di montagna.
Dico prevalentemente. Perché il corpo t’aiuta come può, ma se tu in compenso lo prendi a calci e balli sul tuo stesso cadavere forse quello che chiedi è un miracolo. E, ad un mese dai miei 30 anni, forse dovrei rendermene pure conto invece di pretendere dal mio fegato le medesime prestazioni dei Cuba Libre allungati con la benzina a due euro che mi bevevo a 17 anni nei bar di Monza, dove ho fatto il liceo.
Fatto sta che venerdì mentre vado in falesia sento la Sere. E va più o meno così “okok, 6.30 al Passo del Gavia”. Quello che ancora non so, alle 17 del pomeriggio prima, è che nelle successive ore avrò fatto una serata in falesia, un numero superiore al dovuto di birre medie rosse, rientro a casa ore 01.etroppotardi e sveglia puntata alle 03.00. Più che di ore di sonno parlerei dell’ora solitaria di dormiveglia che riesco a farmi prima che la sveglia suoni, stronza e sovrana.
Preparo lo zaino al mattino e mi meraviglio per non essermi dimenticata nulla di fondamentale: sci, pelli, scarponi, artva, pala, sonda, bastoncini, occhiali. Tutto il resto si può sostituire. Mi ricordo comunque anche i ramponi e la picca, utili per la cresta finale, in compenso mi dimentico la maglietta a maniche lunghe, ma poco male, col sole di giugno sarà l’ultimo dei miei problemi della giornata. Tornerò a casa con il segno dell’artva sul petto, una zebra praticamente!
Non riesco a fare colazione nemmeno sotto tortura, causa nausea e stanchezza, quando mi metto in macchina qualche dubbio inizio ad avercelo: guido fino al Passo del Gavia con la musica a volume altissimo. Chiaramente arrivo in ritardo di 15 minuti, nonostante la guida da ritiro della patente, fortuna che conosco a memoria gli autovelox lungo la strada. Quando arrivo la Sere e il suo amico Andrea mi aspettano già pronti, io sfodero un sorriso e una grande verità “non sono mai in ritardo giuro e sono simpatica!”. Sere testimonia a mio favore, è vero, non sono mai in ritardo io, tranne alcune volte. E di solito è successo qualcosa, quelle volte!
La Sere mi mette le pelli sugli sci, io mi cambio al volo, sembra un pit-stop della F1. Pronti partenza via.
Spalliamo per pochissimo tempo, dieci minuti a dir tanto, poi riusciamo subito a mettere gli sci: il sole si alza e aver dimenticato a casa la maglietta a maniche lunghe non risulterà certo un problema.
La prima ora scorre tranquilla, ma i problemi arriveranno dopo: il non aver nè mangiato nè dormito mi presenteranno il conto a breve. Tant’è che ad un certo punto mi faccio venire il dubbio e chiedo ad Andrea, che ha l’orologio tecnico al polso, a che quota siamo: 2.800. Ah ecco. Il fiato mi abbandona nei prossimi metri di dislivello, diciamo che superati i seracchi il resto della salita è tutta forza di volontà, perché fisicamente ho proprio smesso di averne oggi! Me la prendo con calma, il Tresero a sinistra è davvero intonso e iniziamo a vedere la cima obiettivo di oggi: il San Matteo. Il muretto fino al deposito sci mi costa davvero carissimo, ma in qualche strano modo ci arrivo lo stesso. Siamo a 3.500 metri e le tutine che mi superano sculettando baldanzose mi fanno venire una certa invidia. Comunque tutta quella pompa e manco un bel sedere: ah, la vita, che crudele mediatrice delle fortune!
Al deposito sci facciamo cinque minuti di pausa che precedono la cresta fino in cima, un po’ trafficata anche perché in due ci si passa solo in pochi punti. Raccogliamo le ultime forze, anche la Sere inizia ad accusare un po’ il colpo ma di sicuro è più fresca di me, Andrea invece potrebbe serenamente ripellare! Arriviamo in cima, abbozziamo un sorriso soddisfatto e giù prima delle nuvole! Il panorama è davvero bello, si vedono tutte le punte, dal Cevedale, al Pasquale al Gran Zebrù.
La discesa va come da copione, i quadricipiti scoppiano alla seconda curva ma almeno il fiato torna. E’ un trade-off costante, chi ha le gambe non ha il fiato, chi ha il fiato non ha le gambe. E poi c’è chi alcuni giorni non ha, ovviamente, nessuna delle due. Andrea scende più rapidamente mentre io e la Sere ci aspettiamo in discesa: è proprio bello essere in giro con lei, ci conosciamo dai tempi dell’università e di sicuro mai avremmo pensato di ritrovarci un giorno a fare scialpinismo insieme!
Scendendo riprendo a vivere e insieme a me anche la famiglia di vermi solitari mormoni che vive stanziale nel mio stomaco, ricordandomi che non posso dormire un’ora, guidarne tre, fare 1.300 metri di dislivello, bere birra, arrivare a 3.600 e non mangiare dal giorno prima. Alla macchina sbrano qualsiasi cosa sia masticabile e le mie funzioni vitali tornano normali.
E sarebbe stato bello, sufficiente, direi appagante come giornata anche così.
Ma mentre appoggio il materiale in macchina e la chiudo, lo zaino con le chiavi (scariche) rimane dentro, la macchina si chiude e io, dopo l’ennesima birra e un momento di panico, opto per un utilizzo non proprio certificato della piccozza: rompo il finestrino, recupero le chiavi, torno a casa con un sacco della plastica a farmi da cassa di risonanza durante il viaggio. Andrea rimane scandalizzato dalla semplicità con la quale l’ho pensato e fatto: la Sere testimonia che non è nemmeno la peggiore cosa che mi ha visto fare, d’altronde una volta siamo uscite da un balcone di un albergo a Sestriere con i piumini del letto, per evitare le telecamere di sorveglianza, perché volevamo andare nel prato a vedere la via lattea ma faceva freddo. Ma avevamo 23 anni all’epoca, però missà tanto che non è che sia poi cambiato molto da allora.
Quindi che lezione abbiamo imparato in montagna questa volta? Ovviamente tante ma come sempre non ne applicheremo nessuna altrimenti sapremmo andare in montagna seriamente e di gente forte è già troppo pieno il mondo.
Ma noi siamo simpatiche!