Il fatto è che siamo destinati ad incontrarci, a raccontarci, siamo un contenitore di storie e di momenti. E più ne abbiamo più belli ci sembrano i posti, i ricordi, la vita. Siamo lì in un momento, più che in un luogo, irripetibile proprio perché nostro, di fatto eterno. Stefano Benni, in un gran bel libro, diceva che “sarebbe bello durare quanto i racconti che abbiamo ascoltato e che raccontiamo
Quando avevo incontrato Jorge non l’avrei mai pensato, anche perché l’ho conosciuto come spesso capita tra chi scala, “in giro”. In giro è un posto fatato, una quarta dimensione, spesso verticale, “in giro” per chi scala è sinonimo di “appeso in sosta”, “in parete”, “su”. In giro era mentre partivo per un tiro sull’Anniversario in Medale, lasciando dietro di me in sosta Edo e Ale a chiacchierare con lui, il suo socio e la loro terza compagna di cordata. Passarono mesi e io e Jorge ci ritrovammo in falesia in una giornata estiva. “Ma io ti ho già visto, in giro”. Perché forse la sua storia era un racconto che era scritto che ascoltassi. Di quella giornata a Galbiate ricordo il racconto, di quando è arrivato in Italia, di quando non trovava soci, di quando, temprato dalle quote del Sud America i nostri poveri 4.000 gli facevano giustamente il solletico e così iniziò a vagare. Da solo. Sulle cascate di ghiaccio. Insomma, chi non andrebbe a scrollarsi di dosso un po’ di malinconia scalando in free solo cascate di quarto? Normale amministrazione direi, no? No. Chiunque sia mai andato un po’ seriamente in montagna lo sa, che la tristezza sembra stare in pianura, che sembra pesante, così pesante che io pure, quando sto male, di solito salgo, scappo verso l’alto, tanto lo so che la tristezza è come un cane rabbioso ma in salita non ce la fa a starmi dietro e io sono pure lenta! Io però quando sono triste salgo come ieri, sul San Martino e poi sul Medale, non slegata su una cascata di ghiaccio. Ma la storia di Jorge è speciale, come speciale è stato sentirla. E ancora più speciale farne parte.
Ed è con queste premesse che, dopo altri mesi, ci ritroviamo e decidiamo di andare insieme a fare un giro in Albigna.
Ci svegliamo di buon ora e iniziamo a fare l’avvicinamento. Ho addosso una sensazione che non voglio riconoscere: l’ultima (e prima) volta che ho percorso questo stesso sentiero era quel giorno che poi sono caduta in via, tanto e (per fortuna) non troppo male. Riguardo con la coda dell’occhio la parete dello Spazzacaldera a destra, respiro. Porterà mica sfiga, su.
Mentre saliamo inizio a vedere le colate principali sotto la diga, per fortuna la neve è ormai molto ghiacciata e le ciaspole che ci siamo portati dietro non ci serviranno! Il Vallone del Balzetto è quel Vallone magico a sinistra, salendo verso le principali cascate dell’Albigna. A volte mi rendo proprio conto che il mio incontro con la montagna è stato necessario, perché ogni volta che oso essere davvero triste, i posti e le persone che ho conosciuto scalando, mi fanno sentire una bambina ingrata di fronte alle mie stesse fortune. Apro gli occhi bene, ma che momento sto vivendo? La tristezza davvero, ha il fiato corto e non sale.
Ci tengo a precisare che il Vallone del Balzetto, appena ci entri, lo capisci subito che qualsiasi cosa possa scaricare dalle pareti, scaricherà lì in mezzo! E’ il fondo di una nave, non c’è scampo, è davvero molto pericoloso per le valanghe. Sono ormai settimane che non sta nevicando e mentre ci avviciniamo i pendii sopra sono davvero puliti, anche se un po’ di neve di riporto per via del vento degli ultimi giorni la notiamo.
Certo, 5 cm di neve non ti uccidono. 5 cm di accumulo di neve che ti scaricano addosso mentre scali, su ghiaccio molto esile e poco proteggibile invece sì, o comunque non la racconti bene. Infatti più tardi, mentre scaliamo ci accorgiamo che ha scaricato lo stesso, nonostante la poca neve, in fondo al Vallone. Forse la più pericolosa delle cascate è Hidden Beauty che chiude il Vallone e si trova proprio in un imbuto. Certo però che, a scorgerla così in fondo, è davvero Hidden Beauty, che spettacolo di posto!
L’avvicinamento mi sembra l’armadio di Narnia, è come entrare in una dimensione parallela, un mondo fatato, dove non arriva il vento, il suono, dove se la neve fosse fresca non arriveremmo nemmeno noi! Ci mettiamo un’ora e mezza circa per l’avvicinamento, con condizioni di neve ottimali! Credo che, con neve fresca, ci voglia almeno un’ora in più, ciaspole o sci ai piedi!
All’attacco la goulotte sembra fattibile: sembra! Una cosa, con l’infinita esperienza di una manciata di cascate appena nella vita, l’ho capita, del ghiaccio: che è ingannevole, che i gradi più di qualsiasi disciplina vogliono dire tutto o niente, che appena inizio a salire sul primo tiro, con pendenze che non superano i 75 gradi, capisco che oggi non ci regalerà proprio nessun metro la montagna! I continui rigeli e scaldate di questa stagione hanno letteralmente stratificato placche di ghiaccio infinite, durissimo da rompere, completamente di marmo e decisamente troppo spaccoso. Procediamo tra lenti e croste, mentre salgo con il ghiaccio che mi cade sul piede, qualche cristone inizio a tirarlo. Non so davvero come si finisca in certe situazioni, so solo che quando penso che il peggio sia il ghiaccio duro, arrivo in sosta e no, il peggio sono le soste ibernate, congelate, uno Yeti a spit praticamente, che devi rompere per tirarle fuori manco fosse ” in caso d’emergenza, rompere il vetro” e quando le tiri fuori vorresti non averlo mai fatto, arrugginite e coi cordini da invocare svariate divinità. Perché c’è questo piccolo problema, che le soste a spit, coperte eternamente da ghiaccio e da acqua, arrugginiscono. Così come la roccia, perennemente solcata da acqua, tende ad essere più marcia che sulle vie di roccia. Io, che avevo paura delle soste su ghiaccio, oggi non vedo l’ora di farne una!
I primi tre tiri ci scorrono comunque abbastanza serenamente, il secondo replica un po’ il primo con un muretto più inclinato. Il terzo è un assaggio di ciò che troveremo dopo, un muretto di appena un paio di metri che al primo tocco rimane roccia nuda. Preferivo il ghiaccio duro e a lenti, col dry tooling in placca non me la cavo proprio bene! Per fortuna che sono solo un paio di metri e dopo si cammina sulla neve.
Jorge conferma le mie sensazioni, stiamo facendo una gran fatica a salire, ogni piccozzata ne richiede altre due, è come fare più volte lo stesso tiro! Mi ritrovo con le spalle già belle cotte quando Jorge mi chiede se voglio proseguire. Guardo in alto e ho già capito il menù: o duro e spaccoso, o esile da vederci la roccia sotto. Il menù oggi ha solo queste due portate. Io, che con la mia infinita esperienza fatta di sei cascate, quando salgo da prima trivello il ghiaccio con trentacinque protezioni, vedendo i tiri sopra come ad un gioco di carte oggi mi gioco il “passo”, sono già abbastanza provata così e i tiri mi sembrano molto poco proteggibili! Per fortuna i supereroi non sempre indossano il mantello e Jorge, che ha decisamente più pelo di me, rilancia: avrà un asso nella manica che non conosco ancora! Fiducioso si alza e farà gli ultimi tre tiri con la mia più incredula ammirazione: gli ultimi due nello specifico li troveremo davvero esili. A vederlo poi in sosta anche lui stesso mi sembra comunque un po’ stupito dai tiri che ha fatto, stupore più che giustificato direi.
Non guardo in alto, ho imparato presto e a mie spese a fare sicura sentendo la corda, soprattutto su ghiaccio. Le ultime due soste sono anche sotto il tiro quindi abbasso la testa, mi copro le mani, conto le fucilate che mi arrivano in testa, cinque. Tengo lo zaino sulla schiena per evitare colpi. E lo sento che mi dice “c’è poco ghiaccio”.
Quando salgo capisco cosa intendeva con poco ghiaccio. Ha fatto trenta metri di tiro con tre viti di cui due da 10! Ma le viti da dieci si usano davvero? Pensavo fossero un portachiavi! E pensare che il tiro lo danno IV!
Sugli ultimi due tiri smettiamo di piccozzare, incastriamo le picche cercando di non staccare la lastra di cristallo. Quando lo raggiungo in sosta l’unica cosa che riesco a chiedergli è “come hai fatto?”. Effettivamente mi sembra che non lo sappia bene nemmeno lui, direi per mancanza di alternative! Davvero bravo.
Ci caliamo e siccome baby it ain’t over till it’s over, dopo due abalakov, mi calo da una sosta a spit e facendo due conti dovrei riuscire a saltare una delle due schifososte su roccia e andare a prendere quella dopo. Dovrei, perché dopo aver saltato uno strapiombo su roccia, ci finisco tre metri sopra.
Su roccia.
Fortuna che, dopo cinque secondi di “e adesso?”, colgo l’occasione eccezionale per ripassare la risalita delle corde, tolgo i ramponi, risalgo per cinque metri fino a trovare di nuovo ghiaccio decente e uso due viti da 16 per farmi una sosta sulla quale mi appendo facendo calare Jorge alla sosta intermedia e riprendendo dopo le corde. Meno male che fino a un mese fa non avevo mai fatto una sosta su ghiaccio, penso, mentre sono “comodamente” appesa e slegata su due viti nel ghiaccio. Tengono, nulla in montagna tiene e funziona come quello su cui ti tocca davvero appendere le tue chiappe senza possibilità di errore. E’ meraviglioso quante cose si imparano in fretta e ci si ricorda in fretta, quando devi davvero cavartela. Mi avevano detto che alla fine in montagna si cresce soprattutto tirandosi fuori da situazioni scomode. Alla fine, per il mio schifolivello, ne ho collezionate un po’, di situazioni non proprio simpatiche. E per fortuna le ho raccontate tutte!
Scendiamo a valle, la giornata mi rimane addosso come una magia, potrei aver fatto pace con l’Albigna.
Causa condizioni diverse, ho trovato differenze rispetto alle relazioni che si trovano in rete. Perciò ci provo a fare una descrizione di come l’abbiamo trovata noi, non odiatemi, non l’ho mai fatto prima, si accettano suggerimenti. Sono certa che Walter, che con le sue relazioni della scuola Guido della Torre ormai è esperto nel farne, mi scriverà in privato per dirmi che bastava che continuassi a fare schifo scalando, non c’era bisogno di lasciarne traccia!
Goulotte del Comandante_Relazione
Schizzo Goulotte del Comandante