Avevo detto mai. Era un veto. Mica il primo, ma l’ultimo di una lunga serie.
Quando mi spiegarono cosa fosse una “via lunga”, che ancora non avevo mai toccato la roccia in vita mia, dissi “mai”, me lo ricordo bene. Dalle vaghe spiegazioni che mi furono date mi sembrò follia: cosa vuol dire che tu sei appeso in parete, in che senso appeso, a cosa, sotto cosa c’è, cosa vuol dire il vuoto? Mai. Passarono quattro anni di escursionismo e quando fu il momento giusto, quel mai lo dimenticai volentieri, senza nemmeno pensarci su. Fu naturale, bellissimo, fu semplice.
La mia prima via lunga, a tiri alterni dico, è stata lo Spigolo Nord alla Rocca di Perti in Liguria, III con qualche passo di IV, seguita dal giro delle Normali al Fungo e da quello delle Normali ai Magnaghi. Insomma, che non fossi un bambino prodigio s’era già capito in partenza anche se oggi quelle esperienze mi fanno sorridere. E comunque avevo detto mai. A giudicare oggi dalla mia frequentazione della montagna, decisamente non fu così.
Quando iniziai a scalare un po’ meno scherzosamente (perché “seriamente” mi sembra comunque una parola da non scomodare), di fronte all’idea di fare qualcosa, qualsiasi cosa, slegata, tirai di nuovo fuori dal cappello il mio difensivo, categorico mai. In realtà uno scudo, perché fa ancora più paura qualcosa che pensavi di non poter fare, quando senti che quasi quasi, un senso inizia ad avercelo. E’ la manifestazione del cambiamento che comunque, ci spaventa sempre.
Le cose succedono, ma nei momenti giusti. Se c’è qualcosa che ho imparato e imparo in montagna è che la pazienza non è mai abbastanza, che poi non è nemmeno pazienza, è un saper aspettare il momento in cui sembra naturale, normale, giusto. Lasciare che le cose succedano. Quel momento è arrivato un pomeriggio in cui volevo stare leggera coi miei pensieri, più che fuggirne era un volerli coccolare, fare qualcosa che richiedesse l’attenzione giusta ma soprattutto la giusta calma, un esercizio di tranquillità.
Sono partita un pomeriggio alzandomi tra le nuvole della Direttissima, un po’ preoccupata per il tempo, ma felice di non trovare nessuno lungo la strada. Un messaggio per dire dov’ero e il sacchetto della magnesite e basta. Ammetto che in cuor mio avrei voluto incontrare qualcuno, chicchè fosse, invece nell’altra metà del cuore ero felice di essere sola in mezzo alle nuvole di quella montagna che conosco davvero bene ormai ma che non conosco mai abbastanza. In sè la Segantini non presenta passaggi complicati, appena un passo di IV all’inizio e due passi di disarrampicata e poi la conoscevo già, ma se ripenso al fatto che erano le stesse difficoltà che avevo affrontato con timore, legata, quando avevo fatto la mia prima via, qualcosa dentro si smuove. Un intero giorno tra nuvole per poi alzarsi sopra, su una cima quasi deserta. Un paio di incontri lungo la strada, due chiacchiere, la discesa, una giornata normale. E’ stato normale e proprio per questo, bellissimo.
I motivi dietro a certe esperienze sono vari, un mio amico riconduce la sua unica esperienza slegato ad un momento folle di “qualcosa che non va”. Sicuramente un fondo di verità c’è, qualcosa che ti dimostri che riesci a non avere paura. Ma non è tutto. In realtà quel giorno lì c’era solo molta pace. Sicuramente quando sento commenti di disapprovazione nei confronti di esperienze del genere ma più estreme, mi viene da tacere. Perché c’è poco da aggiungere, alcune cose viaggiano su canali differenti, si chiama empatia, le capisci solo se le senti, altrimenti non ci sono spiegazioni possibili. Comunque non giudicherei, perché sarebbe solo una forma di incomprensione, proverei piuttosto a comprendere, cosa molto più difficile da fare.
E poi a me, a volte, semplicemente, piace stare da sola. Sono sempre stata così. E non mi dispiace.
“…e meno vi importerà di chi non capisce, perché non capisce, perciò non importa.”