Siccome non si tratta di un sito di relazioni o di racconti che includono tentativi di aperture di vie di VIII in Patagonia, ma bensì di un blog personale in cui racconto di birre, zaini sporchi, spaventi esagerati su gradi considerati dai più “avvicinamento”, vie che sembra d’andar a fare la guerra ogni volta, record personali del tipo “la prima NON libera di una via che anche mia nonna ubriaca avrebbe fatto in libera”, progetti in falesia che quando li chiudi manco te la tiri che su quei gradi conosco troppa gente che nemmeno ci si scalda, siccome questo di fatto è un racconto personale quanto personale è il mio modo di vivere la montagna, userò questo spazio per parlare anche di me, che sono una persona qualsiasi, ho un lavoro, una vita, bevo troppa birra e mangio come un bue, mi alleno male e ogni volta che vado in montagna ci porto il peggio e il meglio di me stessa.
E mi diverto sempre un sacco.
L’alpinismo, ma l’ho capito dopo mica me l’avevano scritto nel foglietto illustrativo, ha questa controindicazione qua: lo si fa in montagna, però poi sembra che riesca a rimanere attaccato ai moschettoni, imbrigliato nelle tue corde, insomma, te lo ritrovi addosso nella puzza delle scarpette, lo riconosci nei calli che ti vengono dopo un po’ sulle mani e sui piedi, alla fine ti rimane appiccicato addosso nella vita. Nemmeno te ne accorgi ma pian piano smetti di giustificarti per il tempo che ci dedichi, accetti che la passione a volte sia quasi ossessione, per me ha cambiato anche il corso degli eventi nella mia vita, ha piegato scelte personali e lavorative e non dite che non è così per voi perché vi vedo, bugiardi, mentre vi invitano ad un matrimonio sabato 25 luglio in piena stagione estiva e rosicate duro perché al cugino che si sposa volete bene davvero sì ma forse era il weekend giusto per quellavialì. E ti si spezza l’anima, lo senti proprio dentro come brucia e quasi vorresti non fosse così perché, come l’amore, che di fatto amore è, non si controlla, non si giustifica, viaggia a caso e ti riempie l’anima.
Poi c’è il fatto d’esser donna, che insomma, non è che sia proprio la moda nel mondo verticale. Ho un rapporto strano con quella che socialmente viene definita “femminilità” o per lo meno riconosciuta come tale. Ho speso un ammontare credo equo delle mie risorse economiche in inutili vestiti, l’ennesima gonna a vita alta e l’ennesimo paio di tacchi e in friends, moschettoni, rinvii, scarpette di arrampicata. Maschiaccia un po’ lo sono sempre stata, più che maschiaccia direi che sono sempre stata insofferente all’atteggiamento principesco delle donne, anche se non nego che molte caratteristiche e atteggiamenti di ciò che socialmente viene identificato come “femminile” sono miei e non mi dispiacciono, anche se poi d’estate uno vede le mie gambe e i miei piedi e qualche domanda se la fa. Insomma, da bambina, nonostante mia madre mi facesse indossare meravigliosi vestitini a pois (che adoravo sia chiaro, è questo il punto), adoravo ancora di più saltarci nelle pozzanghere con quei vestiti. Tanto volevo i trucchi della mamma quanto volevo arrampicarmi sul ciliegio alto dieci metri nel giardino della fattoria dei miei nonni. Sono sempre stata bipolare, consumata e dilaniata tra due anime che per tanti anni hanno litigato pesantemente tra di loro, ora devo dire che hanno imparato a convivere, o almeno nei giorni buoni si può dire che riescano quasi a sedersi allo stesso tavolo. Come dice la Vero, la mia amica storica dai tempi del liceo, “non sei bipolare, sei poliedrica”, che così suona meglio, sembra quasi una cosa bella, ma lei con le parole è proprio brava.
No, sono bipolare, ma va bene, la Vero mi vuole bene e l’ha detto in modo proprio carino.
Quando vivevo in un bilocale dove lo spazio era ridotto all’osso le cose che “tanto servono sempre” stavano in macchina, tipo d’inverno quello che a me serviva sempre erano i ramponi, ognuno le sue necessità no? Una volta ho aperto il bagagliaio all’Esselunga e avevo dentro la piccozza. Bhè, signora, che guarda, lei ha un chihuahua in borsa, non so chi stia peggio.
L’alpinismo è diventato una seconda pelle, forse addirittura una prima. La montagna fa parte di ogni mia scelta, ha piegato tempo, rapporti, il modo di vivere i viaggi e le vacanze, nel bene e nel male è quello che poi scelgo, quelle volte in cui poi in falesia ci vai per fare due chiacchiere, come fosse un vecchio bar dove trovarsi con gli amici, quelle volte in cui semplicemente non puoi farne a meno, magari rallenti perché sei stanco e vai a godertela facendo due passi appena, ma mi sento sempre come il vecchio di Moby Dick, che quando stava male prendeva il mare, solo che io prendo… la montagna.
Comunque prima di iniziare a scalare (che per molti so essere un ricordo disperso nei meandri della memoria, beati voi, per me è tipo l’altro ieri) avevo e ho tutt’ora un cofanetto in legno, anche molto bello, che uso per metterci dentro gli smalti. Sì, smalti, quella cosa femminile. Ne ho tantissimi, li usavo spesso prima. A dire il vero se riguardo vecchie foto avevo le unghie molto più curate di adesso, tendenzialmente lunghe. Prima.
Prima. Perché c’è un dopo. Quando mi sono iscritta al corso di alpinismo me lo ricordo bene, andai dopo il lavoro con un cappotto rosso che mi piace tantissimo, Chri, già istruttore all’epoca, scherzando mi disse “ehi cappuccetto rosso, sicura di volerlo fare il corso?”. Mesi dopo Chri è diventato un amico e per un po’ anche compagno di cordata, quella frase gliel’ho rinfacciata scherzando perché mi colpì profondamente: ero gelosa di quella parte di me che è donna, volevo portarla con me, non abbandonarla, farne buon uso, trasformarla, mica ripudiarla! E comunque sì, cappuccetto rosso il corso lo voleva fare eccome. Mi disse anche che lo smalto sulle unghie sarebbe durato poco. Bhè, su questo gli do ragione.
Poi c’è stato il dopo. Le mani pucciate nella magnesite, i calli sulle dita dei piedi a causa delle scarpette, i lividi che a rotazione ricoprono sempre le mie gambe. Le unghie corte perché sì, scalare è diventato più importante. Ai miei compagni di cordata mando le foto a fine giornata della costellazione viola che mi viene addosso ogni tanto, guarda se li unisci questi lividi esce la scritta “sarà anche il caso di imparare a scalare”, ne vado quasi fiera, lo so che non sembra mica normale ma voi di gente che faccia della montagna parte fondamentale della propria esistenza e sia anche normale l’avete mai conosciuta?
E’ diventato più importante. Questa cosa nella vita non la capisci finché non ti si palesa di fronte con impertinenza. Quando qualcosa, o qualcuno, diventa più importante. Non te ne accorgi, di solito succede in sordina, poi c’è un momento in cui diventi consapevole delle scelte che inconsapevolmente fai, tipo un tronchesino in macchina per tagliare al volo le unghie prima di andare a scalare, male, mica sistemandole, zac, un taglio netto e da fabbri, funzionale, veloce che sennò si fa tardi e abbiamo della roccia da scoprire e delle braccia da ghisare qui.
All’inizio mi promettevo di sistemarle, ora le guardo quasi fiera, quando la pelle sulle dita si apre vuol dire che ho reso bene, le unghie si sono accorciate molto, gli smalti variano dal nulla al trasparente al, se proprio sono ispirata, un classico rosso che sbecco sempre dopo due giorni appena. All’inizio mi promettevo di sistemarle, poi mi sono resa conto che era una promessa vuota, perché vuoto era il mio interesse nel farlo, perché tanto quelle mani servono ad altro, quando le vedo sporche di magnesite, quando le pellicine si aprono nelle fessure e sanguinano e asciugo le dita sporche di sangue sui pantaloni, sulla corda, nella magnesite stessa, quel momento lì è diventato più importante e mi sono resa conto che a me semplicemente non mancava più, che le mie mani distrutte nemmeno mi davano fastidio, a vederle. Tacca da strizzare vince smalto un po’ come sasso vince forbice.
Quel lato di me non l’ho perso, nemmeno voglio perderlo, lo esprimo in tantissimi altri modi, i miei compagni di cordata (quasi tutti sempre uomini) mi hanno vista lavarmi in un fiume a fine giornata e tirare fuori i tacchi per uscire la sera, certo, mi hanno anche vista in atteggiamenti sicuramente non principeschi, fuori dubbio che li ho sempre spinti io a non darmi la mano per attraversare le pozzanghere in giro, ma a darmela quanto lo farei io con loro se davvero ne ho bisogno. Alla pari, gare di rutti vinte man bassa e scarpiera con tacchi 12 che, dopo un paio di Miura tenute su per 8 ore, vi giuro sembrano ciabatte. Le mattine in tenda, al buio a mettermi comunque l’eyeliner waterproof, la domenica sera a casa sul pavimento scarpette, ciabatte da falesia, scarpe d’avvicinamento, tacchi e ballerine stese per terra come i mantelli di Batman. Sono felice, non ho perso nulla, si è solo trasformato, ho lasciato andare e ho accolto qualcosa di nuovo, si è mischiato tutto e alla fine il mix non è poi così male.
Io non tremo, è solo un po’ di me che se ne va – Afterhours.
ps: li regalo, tutti.