Una normale poco normale al Campanile Basso, Dolomiti del Brenta

“Ma giuro sono mite, anche se sembro roccia, col cuore dolomite…”.

Tanto alte e maestose quanto fragili e delicate, ho una strana sensazione riguardo alle Dolimiti, sono un paio di giorni ormai che sono a zonzo tra queste cattedrali. Si ergono dal nulla, poggiando sui loro stessi ghiaioni di sabbia, sembrano tra le pareti più alte che possiamo avere nelle Alpi, in termini di sviluppo, sono imponenti, quando ci scali te ne accorgi subito, sono verticali, non c’è nulla che chiuda lo sguardo quando sei lassù. Sono pareti maestose, a testa alta, cime fiere. Poi le tocchi con mano e, a furia di stare a testa alta a prendere temporali, vento, a resistere al tempo, da vicino vedi le rughe, le crepe, la roccia è quasi sempre fratturata, non sono cime da attaccare, non sono pareti sulle quali essere violenti, bisogna davvero essere leggeri, ogni appoggio e ogni appiglio vanno controllati, il vantaggio della dolomia (e anche del calcare) è che c’è sempre qualcosa, in realtà rare volte serve strappare via la roccia dalla parete! Tanto alte e maestose quanto deboli, le trovo affascinanti, in fondo, ci si innamora delle debolezze mica della perfezione!

Mentre scalo cerco di sfiorare appena la roccia, questa fragilità che hanno mi intimorisce ma mi affascina, è bello vedere quanto resistano nonostante non siano fatte per farlo, nonostante siano, in fondo, praticamente sabbia compattata.

Dopo qualche vietta di prova ho proprio voglia di isolarmi un po’, il meteo nella zona del Brenta sembra buono e propongo a Edo di andare a dare un occhio. Sentiamo anche Francesco, uno degli istruttori della mia sezione del CAI che ha fatto il corso l’anno prima del mio e che si trova in zona. Appena gli dico cosa ho in mente, decide che si unirà a noi il giorno dopo!

La zona è priva della quantità di impianti tipica della parte più famosa delle Dolomiti, quindi (con mia immensa gioia) rimane molto più isolata e decisamente meno frequentata. E’ sempre bello vedere come un avvicinamento di più di un’ora mietta vittime, sono i posti che preferisco!

Al mattino ci dirigiamo verso il Campanile: l’avvicinamento dal Brentei dura un’oretta, inizialmente su falsopiano fino alle Bocchette Centrali dove bisogna poi fare un pezzo della ferrata per arrivare all’attacco. La cosa che ho scoperto in Dolomiti, più di qualsiasi altro posto è che la via è una cosa, l’avvicinamento e il rientro sono spesso tortuosi quanto le vie stesse! Diciamo che sulle ferrate di solito vado spedita e quasi sempre slegata, questa volta però decidiamo di farci una longe: di suo è un sentiero, però molte volte bisogna piegarsi proprio per passare e si procede su una cengia con 200 metri di parete verticalissima a sinistra, a scivolare si va spediti come un Frecciarossa fino alla base della parete, anche no!

Finalmente all’attacco, parte Edo sui primi tiri fino alla base dei camini a Y, io e Francesco lo seguiamo a ruota. E’ la prima volta che mi lego con Francesco in cordata e mi fa sorridere il modo in cui ormai, mi accorgo, di aver sviluppato delle mie abitudini nello scalare: tendenzialmente limito molto i comandi a voce, sono abituata allo stile delle persone con le quali vado in giro ed è sempre una bella sensazione riconoscerli dal movimento stesso della corda, preferisco sempre risparmiare fiato per smadonnare sui tiri e poi troppi comandi creano confusione! In generale oltre il classico “molla” e “vieni” dico ben poco, da seconda quasi niente, ma è una cosa che è arrivata col tempo. Quando Edo mi cede il comando, a partire dai camini a Y, mi rendo conto che il problema di queste vie sicuramente non è la difficoltà quanto imparare a leggere la via e abituarsi a scalare praticamente da sosta a sosta! Certo, volendo di protezioni se ne possono anche mettere un po’, ma i tiri sono così lunghi e tortuosi che conviene camminare, onde evitare attriti mostruosi. Fra infatti, abituato più che altro a falesia e vie sportive, ci mette poco a notare che, senza una linea degli spit visibile dal basso, ci vorrebbe google maps per capire dove andare su queste pareti! La normale poi è davvero particolare, sale i primi tiri su uno spigolo, per poi attraversare il famoso Stradone Provinciale e concludere l’altra metà della via sullo spigolo diametralmente opposto a quello iniziale! Su 11 tiri di via ho contato, tolte le soste, sette chiodi…e fateveli bastare!

Vado avanti io per il resto della via e chiedo a Francesco se vuole fare gli ultimi due tiri, ma ci dice che preferisce godersi la via scalando da secondo,  poi ormai manca poco e la nuvola che si abbasssa ci piace mica, così mi ritrovo a farli parecchio in fretta, arrivando presto in cima. La stanchezza si fa sentire per tutti, distrattamente mentre mi alzo dalla sosta chiedo a Fra di staccarmi lui il barcaiolo e per un momento quasi non stacca quello di Edo, me ne accorgo al volo e rallento un po’ la corsa verso la cima, meglio andare più piano, su certi viaggi bisogna davvero avere un occhio in più e stare tutti sempre sulle spine.

Quando mi alzo sull’ultimo tiro, arrivo ad un chiodo solitario e vedo i soci sotto avere tra le mani una matassa unica di corde! Mi fermo sul chiodo dove sono e li lascio sbrogliare il labirinto di corde, Fra mi dice “tutta salute” mentre sono appesa su un solo chiodo e comunque non lo carico, ferma da cinque minuti come un geco in parete. Mi sento precaria come un lavoratore dell’Adecco, tutta salute ‘sta cippa penso e non vedo l’ora di ripartire!

Arriviamo in cima, tempo di fare due foto e già penso alla ravanata a scendere, faccio su le corde e vado ad allestire la prima doppia. Scendo per prima e per fortuna le doppie vanno liscie come l’olio. Seguono la linea di salita, si riattraversa lo Stradone Provinciale e si proseguono le doppie, dalla sosta in cima ai camini a Y una è proprio negli strapiombi, 40 metri in verticale sotto, va Edo a cercarca, di stare appesa a sborgliare la solita matassa ne avevo anche un po’ le ovaie piene.

Altre due doppie e siamo alla base, sembra davvero un labirinto questa via, 11 tiri, conserva, 3 doppie, riconserva, 4 doppie, riferrata e mi sembra davvero iniziata ieri! Sul sentiero di ritorno io e Edo ci spegniamo non poco. La stanchezza fisica ormai si è accumulata dai giorni prima, per me anche quella mentale: sono rimasta vigile tutto il tempo, quando finalmente posso spegnere il cervello e lasciare andare le gambe mi piace godermi il viaggio appena trascorso, il silenzio, la stanchezza. Fra è l’unico che ha ancora energie e sta già programmando un’uscita in bicicletta il giorno dopo. “Non sai quante energie che ho ancora” mi dice, mentre io dopo aver sbrogliato corde a scendere, 7 tiri di seguito da prima, avvicinamento, rientro e le vie dei giorni prima inciampo anche sui sassolini ormai, talmente sono cotta. Anche Edo non è certo più sveglio di me, sicuramente sia io che lui abbiamo dato parecchio oggi, spero che a Francesco la via e l’esperienza sia piaciuta anche se magari non l’ha vissuta molto da protagonista.

Ci sono vie che non sono vie, sono viaggi. E’ bello sentirsi sempre diversi, al ritorno.

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