Era un anno fa, me lo ricordo come fosse ieri, limpido, netto, un’esplosione. Ero nel pieno del corso di alpinismo e avevo un giorno di ferie. Presi il cuore in mano e chiesi al direttore del corso, che sapevo avesse dei giorni liberi, se aveva voglia di scalare assieme.
Il direttore del corso, Angelo, un anno dopo, è diventato un amico decisamente speciale e già pochi mesi dopo avevo capito che per lui “scalare” era ben altra cosa rispetto al giro delle normali al Fungo.
Avevo all’attivo due vie col corso da seconda, una vietta di III grado in Liguria in alternato (un sentiero a resinati, più che una via), uscite in falesia non sufficienti da contarle sulle dita di due mani! Ottime premesse. Quando Ange mi disse di sì fu il panico: avevo preparato lo zaino dalla sera prima, come se fosse il primo giorno di scuola, ripassato le doppie, letto trentatrè relazioni, deciso che i tiri duri li avrebbe fatti lui (sì, per me c’erano dei tiri duri in quel giro!) e dormito poco o niente.
Il giorno dopo mi ritrovai all’attacco della Torre, il resto è un marasma di ricordi a dir poco speciali, io che non capisco dove va la via, Ange che butta giù le doppie dalla Torre e scende, io che rimango in sosta e prima di fare la doppia controllo dieci volte la manovra tremando. Ma la cosa più forte, come memoria, rimane la placca del tiro finale del Fungo. Io lo giuro, c’ero, ero sempre io, lo potrei firmare: l’aveva tirata Ange (chiaramente!) e io avevo azzerato da seconda, era liscia, nessun appiglio, espostissima, un trauma! Finimmo il giro facendo l’Accademici alla Lancia e la Butta al Campaniletto.
Era un anno fa.
Oggi parcheggio la macchina, porto con me solo i rinvii e poco altro materiale, dietro di me sul sentiero c’è la Sere, una mia amica che ha iniziato da pochissimo a frequentare la montagna e sta facendo il corso di alpinismo quest’anno. Mi ha chiesto di fare una via assieme. La scelgo bene la via, so bene perché, non solo perché comunque rimane un gran bel giro, divertente, scenografico, da far scoccare la scintilla. Ma in cuor mio so cosa sto andando a vedere, esattamente un anno dopo.
Tiro tutto io, giusto così, la Sere è bravissima a seguirmi, si sta divertendo ed è calma. Quando arrivo all’inizio dell’ultimo tiro del Fungo quasi sento il cuore battere più forte: mi alzo oltre il pulpito, lo supero, quando sono oltre lo spigolo faccio qualche metro e mi fermo in mezzo a quella placca.
Ero io, era la stessa placca, potrei giurarci. Mi sembra una scala a pioli. Stacco le mani dalla parete, faccio pure una foto, mi guardo attorno e mi pervade un senso di pace, di malinconia, di nostalgia. Vedo sulla roccia qualcosa che prima mi era invisibile, lo vedo, il IV grado rilassante, riconosco le guglie attorno a me, mi sento a casa in questo posto. Sono qui, con un’amica in sosta alla quale sto dedicando una giornata per me piena di emozione. Era esattamente un anno fa, la doppia nel vuoto dal Fungo che avevo paura a fare. Era esattamente un anno fa che faceva paura! Che finivamo il giro e Ange, sul sentiero all’attacco, seduti a chiacchierare, con un commento innocente faceva scoppiare una bomba dentro di me “bhè però ne hai”.
No, non ne ho. Mi alleno male e non ne ho, ci sono volte in cui non ci credo affatto e altre in cui lo faccio troppo. No, non ne ho, scalare è bel altra cosa e l’ho capito durante quest’anno, no non ne ho perché su certi capolavori ancora le mani non oso mettercele. No, non ne ho però non sono poche le volte in cui mi sono commossa per un pezzo di roccia, per un canale di neve, per un gesto lento e deciso su una tacca, per una candela di ghiaccio.
No, non ne ho, però un anno dopo chiamare quella placca “placca” mi fa sorridere, mi sembra la fiera della presa, vorrei provarla invece no, la paura questa volta non c’è nemmeno un po’, sono lì, tranquilla, salgo in cima al Fungo e mi fermo un secondo.
Vediamo sempre solo ciò che non riusciamo ancora a fare, la salita, il paragone schiacciante con chi per forza di cose e di esperienza è avanti a noi, raramente vediamo le cose che hanno smesso di farci tremare. Raramente celebriamo le cime raggiunte.
Che cosa speciale, quando le cose non fanno più paura, che forza enorme quando non puoi più negare l’evidenza che qualcosa forse sì, è cresciuto, si è evoluto, è cambiato. E quel qualcosa no, non è la roccia, lei è sempre lì, uguale. Quel qualcosa, un anno dopo, sono io, i miei occhi, la mia misera esperienza, i pensieri che ho fatto e che farò.